L'attuale ministro degli Esteri è stato incaricato da Mattarella. Come voluto da Renzi. Che può così concentrarsi sulla leadership da ricostruire. «Governo in continuità», dice Gentiloni lasciando il Quirinale

Tocca a Gentiloni, dunque, arrivato al Quirinale alle 12.30 come ministro degli Esteri e uscito come presidente del Consiglio incaricato. Lui è l’uomo giusto, come abbiamo visto, che mette d’accordo i più – almeno nel confine dell’attuale maggioranza di governo e del Pd – e fa stare moderatamente tranquillo Matteo Renzi. Quello di Gentiloni, infatti, il governo che vedremo nascere nelle prossime 48 ore, o comunque entro giovedì, nei piani del presidente dimissionario dovrebbe esser di fatto un Renzi bis senza Renzi.

Sarà un Renzi bis, quello di Gentiloni, tant’è che il più dei ministri non dovrebbe cambiare. Giannini e Poletti sono dati in uscita, forse sostituiti da Puglisi e Terranova. Boschi potrebbe lasciare di sua sponte, tornando al partito. Per il resto però sarà un governo in continuità. «Non per scelta ma per senso di responsabilità ci muoveremo nel perimetro del governo e della maggioranza uscente», dice Gentiloni uscendo dal Colle, riassumendo così l’esito delle consultazioni, con le opposizioni più orientate per il voto subito, chi con una nuova legge elettorale, da fare in poche settimane, Renzi reggente (Sinistra italiana e 5 stelle), chi anche così (Lega). Anche l’appoggio di Denis Verdini, quindi, sarà in continuità, con il gruppo di Ala che, uscito dalla sua consultazione, ha detto di esser disponibile per qualsivoglia governo. Sarà un Renzi bis, che però permette a Renzi di non smentirsi ancora una volta: aveva detto che avrebbe lasciato la politica e poi che avrebbe lasciato solo palazzo Chigi, restare pure al governo sarebbe stato troppo. Pure per lui.

Però con Gentiloni – è convinto Renzi – lui non lascia spazio a un possibile competitor: Gentiloni non è Franceschini, insomma. È un presidente del Consiglio silenzioso, senza velleità e fedele (leggerete decine di ritratti ma basta una parola: Rutelli), che gli consentirà di concentrarsi sulla ricostruzione della sua leadership, con un congresso e le primarie da fare il prima possibile, e le elezioni da anticipare a giugno 2017. «Il congresso lo faremo presto e Renzi correrà ancora da premier», dice infatti il renzianissimo capogruppo Rosato. E qui però ci sarà da litigare con la minoranza dem, che certo non vuole farsi dettare i tempi da un segretario che non ha mai amato e che oggi considera più debole. Anche la minoranza dem ha però bisogno di tempo (ecco perché Gentiloni fa, alla fine, contenti tutti) non avendo una leadership – una competitiva – pronta.

La contesa interna comincerà (o meglio preseguirà) lunedì, con la direzione del Pd convocata per mezzogiorno che dovrà di fatto ratificare ciò che è già accaduto. Però si potrà discutere, almeno, questa volta, ma senza Renzi pare, al momento. Il segretario non ci sarà. Poi si continuerà con l’assemblea del Pd, quella con mille membri, convocata per domenica prossima. Il congresso inizia così.

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.