Gentiloni scioglie la riserva e presenta la squadra. Salvo Giannini (sostituita da Valeria Fedeli) è il governo Renzi: con Lotti che diventa ministro e Boschi che resta a palazzo Chigi da sottosegretario, Alfano che passa agli Esteri e Finocchiaro, una delle madri della riforma, ai Rapporti col parlamento. Stasera il giuramento

Ecco il governo Gentiloni, che nascendo chiude rapidamente la crisi aperta con le dimissioni di Matteo Renzi, sconfitto in un referendum che doveva esser costituzionale e che lui stesso ha però voluto impostare come un giudizio su di sé, una prova da superare per restare a palazzo Chigi. Una prova persa.

La crisi di governo si risolve così rapidamente, per «responsabilità», dicono dal Pd, che in una direzione, nel pomeriggio, ha accordato all’unanimità la fiducia al presidente incaricato. Ma anche perché, nei fatti, alla fine, la maggioranza è sempre la stessa (salta solo Zanetti, ormai in quota Verdini, che doveva esser ministro, ed è il tributo alla «discontinuità» chiesta dalla minoranza dem) e anche il più dei ministri, anche quelli sono sempre gli stessi.

E centrale è il ruolo dei nomi più pesanti del renzismo, Boschi e Lotti
. Verrebbe da dire che anche il governo è lo stesso, un Renzi bis senza Renzi. Non fosse che, se questa è sicuramente l’idea di Renzi (che così, senza lasciar spazio a un competitor, può dedicarsi a rigenerare la sua leadership), non è detto che poi sia così veramente.

Renzi – sempre durante la direzione dem – ha messo una sorta di data di scadenza sulla fronte di Gentiloni. «C’è un appuntamento imminente con le elezioni, che noi non temiamo», ha detto Renzi, subito coperto da Matteo Orfini secondo cui siccome la legislatura non è più costituente non avrebbe senso farla arrivare a scadenza naturale. Ma non è detto che la scadenza immaginata da Renzi si avveri. Lui pensa a giugno 2017; non in pochi vorrebbero però arrivare al 2018. E dettare i tempi da fuori il parlamento, anche se sei il segretario del primo partito della coalizione di governo, è complicato. Ecco perché Renzi vuole un rapido congresso e rapide primarie. Per fare avere qualche argomento in più.

Ma ecco la lista.

Angelino Alfano va agli Esteri e il sottosegretario ai servizi Marco Minniti sarà invece ministro dell’Interno. Orlando resta alla Giustizia, Pinotti alla Difesa, Padoan ovviamente all’Economia, Calenda allo Sviluppo economico, Madia alla Pubblica amministrazione. Resta anche Franceschini alla Cultura, Galletti all’ambiente, Poletti al Lavoro, Delrio alle Infrastrutture. Resta Lorenzin alla Salute e Martina all’Agricoltura, mentre cambia l’Istruzione, dove arriva Valeria Fedeli.

Maria Elena Boschi cambia solo ruolo, ma resta centrale e resta a palazzo Chigi: aveva detto anche lei, come Renzi, che avrebbe lasciato la politica, non solo la poltrona al governo, e invece sarà sottosegretario alla presidenza. I Rapporti col parlamento vanno a Anna Finocchiaro, senatrice e – volendo – “nonna” della riforma bocciata, se Boschi ne era la madre. Proseguendo le conferme c’è Enrico Costa agli Affari regionali, promosso invece De Vincenti per cui torna la Coesione territoriale. Luca Lotti, infine, già sottosegretario sarà ministro dello Sport (ma anche al Cipe e all’Editoria).

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.