Stamane dovrebbero finalmente cominciare le operazioni di evacuazione della parte di Aleppo ancora sotto il controllo dei ribelli. Si concludono così, con una vittoria di Assad, quattro anni di battaglia furibonda attorno e dentro a quello che era il vivace centro della vita siriana ed è oggi un cumulo di macerie.
L’evacuazione, mediata da russi e turchi (ciascuno sostenitore di una delle parti che si combattono) era saltata martedì, quando erano ripresi combattimenti – e bombardamenti da parte dell’esercito siriano a cui i ribelli hanno risposto con autobomba guidate da kamikaze. Motivo dello stop erano sate le richieste degli iraniani sul posto e dei libanesi sciiti di hezbollah, che chiedevano l’evacuazione simultanea dei feriti nei villaggi attorno a Idlib. Rimangono complicazioni, dicono quelli di hezbollah, ma «intensi contatti tra i responsabili … portato a ri-definire le modalità del cessate il fuoco». Alcuni feriti sarebbero già usciti.
Dovrebbero essere i soldati russi a garantire una evacuazione senza rappresaglie, scortando i ribelli attraverso un corridoio verso Idlib, fa sapere Mosca. La Croce rossa dovrebbe invece monitorare l’evacuazione dei civili, decine di migliaia dei quali sono già fuggiti nelle scorse settimane, quando l’offensiva siriano-russo-iraniana si è fatta più intensa.
I gruppi che ancora combattevano ad Aleppo hanno accusato l’Iran e le altre milizie sciite di aver voluto far deragliare l’accordo. Il tema, a questo punto, è anche e molto, il ruolo che le milizie sciite avranno nei prossimi mesi: più ingombrante sarà la loro presenza, più armi di propaganda avranno la parti più estreme della rivolta anti Assad (islamisti salafiti), che oggi sono innegabilmente le più forti. Lo scontro, qui e in molti altri terreni mediorientali, in questa fase, è anche molto alimentato dalla tensione sciita-sunita e dal ruolo crescente svolto dall’Iran nella regione.
Nei giorni scorsi le milizie sciite, specie quelle irachene, sono state accusate di esecuzioni a freddo. L’Onu ha parlato della morte di 82 persone. Sarebbe utile che le parti in causa coinvolgessero l’Onu e altre organizzazioni internazionali per monitorare che nulla accada ai civili sopravvissuti a anni di guerra e sottoposti negli ultimi mesi a bombardamenti di intensità spaventosa.
La guerra non è finita: nei giorni scorsi l’Isis ha ripreso Palmira, anche grazie al fatto che le forze siriane erano concentrate su Aleppo. Assad, che in alcune aree combatte l’Isis assieme ai curdi, non ha certo intenzione di lasciare all’YPG il controllo di parti del territorio. Non per ora. E i ribelli controllano ancora diverse aree del Paese: prossimo terreno di scontro sarà Idlib. Certo, con la presa di Aleppo, Assad, l’Iran e la Russia ottengon una vittoria dall’enorme significato simbolico. A perdere, oltre ai ribelli, c’è anche l’Occidente. L’ambasciatore Usa all’Onu, Samantha Power, autrice anni fa di un libro sul genocidio in Ruanda, ha usato parole durissime contro Mosca e Teheran in Consiglio di sicurezza. L’ambasciatore russo Churkin le ha risposto che gli Usa non possono parlare e che lei parla come «Madre Teresa». La tensione tra i due Paesi non è stata tanto alta da decenni: il caso del cyber attacco contro il partito democratico, orchestrato da Mosca, alimenta questa tensione.
Il 20 gennaio Donald Trump entrerà alla Casa Bianca, la sua amministrazione è infarcita di personaggi con legami in Russia o che ammirano lo stile di Putin. Vedremo se e come quel fronte cambierà. La Siria, intanto, resterò per gli anni a venire, come l’Afghanistan e l’Iraq in maniera diversa, un Paese frammentato, armato e dove scorrazzano signori della guerra. Le responsabilità saranno soprattutto di russi e occidentali: i primi avevano un’idea chiara di cosa volevano e l’hanno messa in pratica senza tentennamenti, i secondi non avevano idee, hanno cambiato attegiamento in più di un’occasione e hanno assistito inermi a quanto capitava. Salvo poi infuriarsi con Mosca. Entrambi hanno giocato una partita a scacchi per interposta persona sulla pelle dei civili siriani.