MOSCA – La mattina del 9 novembre in certe stanze del potere di Mosca ci si sorrideva a vicenda. Non era mai successo prima nella storia di Usa e Urss, una storia dalla cronologia di pugni mortali e ricatti atomici scambiati su e giù per il mondo. Quella mattina di novembre alla Duma si applaudiva, per la prima volta, la vittoria di un candidato repubblicano alle elezioni americane. Indirizzato al neoeletto Donald Trump, sarebbe partito poco dopo quello stesso giorno un messaggio di congratulazioni direttamente dal piano più alto del Cremlino. Un telegramma, un pezzo di carta nell’era di twitter, un invito in previsione di una futura collaborazione. Una fusione a freddo tra potenze che – se avverrà – non ha precedenti con cui essere comparata. Una specie di operazione a cuore aperto su cui si interroga in questi giorni il mondo intero: che succede se i due diavoli, Russia e America, eterne nemiche, cominciano improvvisamente a fare l’amore?
Il telegramma lo spediva l’uomo che nella caricatura del Courrier International francese ha una croce al collo e un kalashnikov in mano, sotto il suo piede schiaccia un innocente bambi, mentre non si capisce se guarda di sbieco o fisso nei tuoi occhi. Su Newsweek è Terminator, poi un orso disegnato con la scritta “L’arma segreta di Putin”. Lui è “l’incendiario”, come viene chiamato su una delle tante copertine dedicategli dal tedesco Der Spigel, con la domanda: chi lo fermerà? Il russo è enorme, il presidente americano, la tedesca e l’inglese minuscoli. È stato anche il Kalte krieger, il “guerriero freddo” su una copertina del 2014, dove spiccava la bandiera gialloblu dell’ormai dimenticata guerra di Kiev. Le copertine del Time invece erano tutte rosse: una diceva “Guerra Fredda II, come l’Ovest perde il gioco pericoloso di Putin” e per titolo interno aveva “Delitto senza castigo”. Un’altra diceva: “La Russia vuole minare le elezioni americane, non ci cascate”. Su quel numero Putin sorrideva con la spilletta: I voted, quella che si dà agli elettori americani dopo la scelta. Le sue pupille sono a forma di caccia, in un ritratto su sfondo rosso, nero e blu di The Economist e in apertura una frase di Mitt Romney di quattro anni fa: “Il foe, nemico numero uno d’America è la Russia”. Lo chiamano Vlad the invader, e Ivan il sopportabile, che ironicamente si traduce bearable, quasi come quel bear in the wood di Regan. Oggi però il bosco è la steppa fitta e misteriosa del web e il bear, l’orso, è Fancy, come il nome del troll che è entrato nel server delle mail dei democratici, interferendo nei risultati delle elezioni americane, facendo vincere il capelli gialli, Putin wannabe, mestiere milionario e bancarottiere, Donal Trump.
Dunque siamo «passati dall’essere una gas station e potenza regionale» a un Paese che influenza le elezioni americane, ha detto il parlamentare Viaceslav Nikonov: «Noi seguiamo solo il detto cinese, siediti sulla riva e aspetta che passi il cadavere del tuo nemico». Il nemico sta passando ma prima di andarsene ha voluto indagare. È stato Obama stesso a ordinare un’indagine sull’interferenza russa nelle elezioni americane, prima che Trump si insedi il 20 gennaio prossimo alla Casa Bianca. «Sono gli stessi analisti che hanno detto che Saddam aveva armi di distruzioni di massa?» è stata la replica dello staff repubblicano, mentre quella in tv di Trump è stata «Non ci credo, è ridicolo, nessuno sa chi è stato, se la Russia, la Cina o un individuo da qualche camera da letto». Il commento della notizia in Russia è stato la notizia stessa, ma la maggior parte dei cittadini non ci ha fatto particolare attenzione.
L’articolo continua su Left in edicola dal 17 dicembre