Dieci anni fa se ne andava Piergiorgio Welby, dopo una lunga battaglia per essere staccato dalle macchine che lo tenevano in vita. Alla sua richiesta di aiuto rispose il medico anestesista Mario Riccio che oggi ricorda così quell’incontro con un uomo che coraggiosamente usava la propria malattia per una conquista di diritti di tutti.
«Al di là dell’aspetto pubblico, mediatico la vicenda indubbiamente ha segnato la mia vita. Non tanto per gli aspetti più pratici, perché in quelli nulla è cambiato. Ma mi rendo conto di essere stato testimone ed in parte attore – assieme ad altri ovviamente, per prima la moglie Mina – di una vicenda che ha cambiato il diritto, l’etica e la prospettiva politica su certi temi in questo Paese. Ogni volta che parlo di quella vicenda sento questa responsabilità, ma sopratutto sono convinto che Welby abbia lasciato una eredità morale a coloro che gli sono stati vicino. È importante che tale eredità – un bene assai prezioso – sia da ciascuno di noi amministrata con correttezza ed onestà intellettuale. Io mi sto impegnando a farlo».
Il 6 dicembre 2006 il tribunale di Roma giudicò inammissibile la richiesta dei legali di Welby di porre fine all’accanimento terapeutico, che cosa è cambiato da allora?
Paradossalmente la risposta corretta a quella domanda di Welby è arrivata – dopo dieci anni – con la sentenza sul caso Piludu di pochi mesi or sono. Il giudice tutelare di Cagliari ha ordinato all’ospedale di Cagliari che Piludu venisse sedato e staccato dal ventilatore artificiale come da lui richiesto, senza infingimenti e tentennamenti. Fosse arrivata quella stessa risposta a Piergiorgio Welby dieci anni or sono, il mio intervento “clandestino” non ci sarebbe mai stato. Oggi il nostro Paese sarebbe già più avanti sul piano della riflessione etica, la vicenda Englaro avrebbe avuto uno svolgimento più sereno e si parlerebbe di eutanasia/suicidio assistito come negli altri Paesi occidentali
Cosa pensa della proposta sul testamento biologico approvata il 7 dicembre dalla Commissione affari sociali?
Ho avuto modo per adesso di dare solo una rapida lettura. Mi sembra che se nella forma siamo distanti dall’orribile ddl Calabrò, nella sostanza ci siano ancora molte criticità. Ad esempio ho letto l’espressione «pianificazione condivisa delle terapie». Dove il «condivisa» si intende tra medico e paziente nell’ambito della tanto osannata “relazione di cura”. Ma se non c’è questa condivisione fra paziente e sanitario ( vedi appunto i casi Welby ed Englaro ) cosa si deve fare ? Il giudice di Cagliari nella sua sentenza non si è certo preoccupato di sapere se i medici dell’ospedale di Cagliari condividessero il volere di Piludu. Era del tutto indifferente al volere di Piludu e all’esercizio del suo diritto. Credo che sarà uno dei punti di scontro nel possibile dibattito parlamentare, ma credo che questa legislatura ancora una volta non produrrà alcunchè.
Il 14 dicembre la legge del Friuli che prevedeva l’istituzione di un registro per le dichiarazioni anticipate ha avuto lo stop della Consulta. Come valuta il fatto che la presidenza del Consiglio abbia impugnato quella legge producendo questi risultati?
Non conosco quella vicenda nei particolari e non posso pertanto esprimere un preciso giudizio nel merito. Ma da quello che ho letto però si evince che effettivamente la regione FVG sarebbe entrata nel merito dei contenuti delle direttive anticipate. Ora quella è materia sicuramente di competenza dello Stato e pertanto la “bocciatura” sembrerebbe un esito scontato. Forse se si fosse limitata a sostenere l’importanza che una direttiva anticipata del cittadino poteva essere semplicemente allegata al modello di cartella clinica regionale – incoraggiandone al contempo la pratica, come è successo in molti comuni italiani-non avrebbe avuto tale risposta e sarebbe stato un altro importante passo avanti. Forse la regione FVG è stata vittima di una certa incompetenza tecnica in materia. Sicuramente però il comportamento della presidenza del Consiglio – cioè Matteo Renzi- non depone per una particolare attenzione ai temi etici, nonostante quanto ci abbia voluto far credere in questi anni.
In Italia i medici che rispondono ai malati terminali rischiano il carcere. Da medico anestesista come vede la situazione? C’è bisogno di una legge sull’eutanasia?
La questione è complessa e meriterebbe una risposta molto articolata. Cerco di sintetizzare: oggi in Italia ogni malato ha già il diritto a rinunciare alle terapie, anche a quelle invasive, salvavita o a curarsi un tumore. Al contempo ha diritto anche alla sedazione palliativa continua, che può essere praticata anche al domicilio. Purtroppo tutto questo è sulla carta, ci sono molti ostacoli di varia natura per raggiungere l’obbiettivo. Sicuramente una discriminante è la posizione geografica nel Paese. Ad un nord discretamente avanzato in questo campo si contrappone un centro-sud poco attrezzato. Pensi soltanto alla scarsa diffusione degli hospice nel sud Italia. Spesso – è molto triste ammeterlo- solo le possibilità economiche fanno la differenza. Discorso differente è la questione della eutanasia/suicidio assistito. Anche se l’opinione pubblica è sicuramente favorevole, rimane un tabù per la classe politica. Non si capisce come mai vi sia questo insuperabile pregiudizio, anche se va notato che è un problema comune in molti altri Paesi occidentali.Io però credo – come per le unioni civili- che sarà proprio la comunità europea che alla fine ci chiederà di adeguarci – in un futuro spero non lontano – ad un nuovo paradigma etico che si sta facendo strada con forza nel mondo occidentale : la propria vita è un bene disponibile della persona.