Come ogni anno, alla fine dell’anno, l’associazione Open Polis traccia un bilancio dell’attività del nostro Parlamento e dei nostri parlamentari. Pezzo fondamentale del bilancio è il dossier sulla produttività, indice ottenuto assegnando un punteggio per ogni atto parlamentare presentato (e per il suo stato di avanzamento: presentare atti che non vengono mai iscritti all’ordine del giorno o montagne interrogazioni a cui non risponde nessuno, serve effettivamente a poco).
Il lavoro di Open Polis (lavoro possibile grazie alle donazioni) offre un bel ritratto di Camera e Senato, spiegando ad esempio che fondamentale, per incidere, è ricoprire un ruolo di vertice, a capo di una commissione. I parlamentari, ricorda infatti Open Polis, “sono in tutto 950, ma solo una manciata riesce a essere determinante. Nell’indice di produttività la stragrande maggioranza degli eletti ottiene un punteggio basso, raggiungibile anche solo con le presenze. Appena il 5% riesce ad avere un’influenza sui lavori dell’aula”. Tra questi ci sono i presidenti delle Commissioni (come Anna Finocchiario, prima al Senato tra i deputati eletti in Puglia, ad esempio), e tra gli improduttivi, invece, ci sono i parlamentari con incarichi o ruoli più politici, tipo Pier Luigi Bersani. Chi si dedica all’organizzazione politica o alla vita del partito, è giusto che venga considerato improduttivo? Non è detto, ma l’indice è appunto dichiaratamente parziale.
Con i suoi limiti, il monitoraggio di Openpolis, però, offre alcuni dati interessanti, soprattutto ora che il Partito democratico ha rilanciato il Mattarellum (dopo averci regalato una legge che tutta Europa avrebbe dovuto invidiarci – Renzi dixit – ma che è invece destinata alla bocciatura della Corte costituzionale ed è stata già bocciata dagli elettori, immaginata per appaiarsi alla riforma costituzionale). Il meccanismo dei collegi della legge che porta il nome del presidente della Repubblica, infatti, legherebbe nuovamente i parlamentari a un territorio, aumentando, almeno, il potenziale controllo dell’elettore.
Ecco allora le utilissime – per cominciare a farsi un’idea – classifiche regionale, sulla produttività degli onorevoli. Ve ne consigliamo la lettura, perché alcune cose potrebbero non piacervi troppo.
Qualche esempio? Con le tabelle di Openpolis, per dire, si può scoprire che nel Lazio, dopo la dem Donatella Ferranti, la più deputata più produttiva è Paola Binetti, dato che non stupisce i cronisti parlamentari (abituati a ricevere decine di suoi comunicati stampa, sulla densa attività d’aula) ma che può aiutare a capire come la produttività da sola non sia – ovviamente – l’unico elemento per giudicare un deputato: tocca vedere che ci fai con tutta questa energia. Per il Senato, invece, va già meglio, e la più attiva è la capogruppo di Sinistra Italiana Loredana De Petris, che è anche terza nella classifica nazionale. Tra i nomi noti, Monica Cirinnà segue al terzo posto, sempre al Senato, mentre il primo 5 stelle è Paola Taverna in settima posizione.
Leggendo la classifica toscana, invece, scopriamo che Edoardo Nesi, scrittore portato alla Camera da Mario Monti, ma rapidamente diventato renziano, si conferma poco dedito, penultimo nella sua regione e al posto 603 della classifica nazionale. Subito sopra di lui c’è Luca Lotti, il cui indice però paga il fatto che Lotti, oltre che parlamentare, era sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Renzi, ed è ora ministro, con Paolo Gentiloni. Denis Verdini è il meno produttivo dei senatori – dato che ancora una volta, però, dimostra la parzialità della classifica, perché Verdini è senza dubbio (a modo suo) parlamentare attivissimo, anche se preferisce il lavorio “diplomatico” alla noia degli atti burocratici.
Sandro Bondi è invece il senatore meno attivo per la Lombardia (e lui non ha neanche altri particolari meriti, avendo anche rallentato con la produzione poetica), mentre il meno produttivo alla Camera, sempre in Lombardia, è Antonio Angelucci, superato di un soffio da Daniela Santanché, posizione 623 nella classifica nazionale. Lasciando a voi il resto della lettura, interessante è però segnalare come maluccio vada anche Matteo Colaninno, il dem prestato dall’impresa alla politica, fermo al 93esimo posto (su 101 deputati regionali) giusto sopra Lorenzo Guerini, che però è vice segretario del Pd è ha altro a cui pensare. Eleggere un manager, insomma, non è garanzia di produttività.