Il presidente eletto ha fatto pressioni per far saltare il voto e promette: «Con me si cambia». Israele: abbiamo le prove che dietro alla risoluzione c'è Obama. Quel che c'è da sapere sul voto al Palazzo di Vetro

Se c’è qualcuno al mondo felice della vittoria di Donald Trump alle presidenziali del 2016, questi è il premier israeliano Bibi Netanyahu. Con Obama non è mai andato d’accordo, anzi, ha fatto di tutto per dargli noia, tenendo discorsi duri contro l’amministrazione, prendendolo a schiaffi metaforici ogni volta che ha potuto e infischiandosene degli sforzi, moderati, per rimettere israeliani e palestinesi a un tavolo. Netanyahu ha spesso giocato di sponda con i repubblicani e, oggi, sono i repubblicani a giocare di sponda con lui.

L’ultimo oggetto del contendere, il più duro in otto anni di relazioni burrascose tra Obama e il premier israeliano, è la risoluzione Onu che chiede lo stop agli insediamenti nei Territori, sulla quale, con una mossa del tutto inusuale, gli Stati Uniti si sono astenuti e, non usando il potere di veto, ne hanno consentito l’approvazione. La risoluzione parla di insediamenti illegali in palese violazione delle leggi internazionali e ostacolo alla soluzione del conflitto israelo-palestinese. È la prima dal 1979 a usare toni simili.

Bibi è andato su tutte le furie, ha convocato l’ambasciatore e sostenuto pubblicamente che dietro al testo approvato in consiglio di sicurezza ci sia Obama in persona, «le informazioni che abbiamo indicano come il presidente abbia seguito il processo e lavorato al testo», ha detto Netanyahu. La Casa Bianca nega e, francamente, è improbabile che il presidente Usa, che di Medio Oriente non si intende, abbia lavorato al testo.  Quel che è sicuro è che la decisione a sorpresa e in rottura con la prassi, di astenersi, sia venuta da Obama. Un dispetto a Bibi e a Trump, che ha nominato ambasciatore in Israele David Friedman, un avvocato di estrema destra che finanzia gli insediamenti,  e che ha promesso di spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme – un passo controverso e uno schiaffo ai palestinesi: le ambasciate sono tutte a Tel Aviv, a Gerusalemme ci sono consolati. Un segnale tardivo della visione di questa amministrazione, che non si è data granché da fare per trovare una strada diplomatica in una fase nella quale il Medio Oriente prendeva fuoco e il governo israeliano faceva di tutto per soffocare l’idea dei “due popoli-due Stati”.

Israele annuncia che mostrerà le prove dell’intervento di Obama, come se il voto fosse qualcosa di simile a un attentato terroristico o a un’azione di guerra. La verità è che Netanyahu “mostrando le prove” non farà altro che alimentare la teoria del complotto di qualcuno della destra americana, che Obama si in realtà un musulmano travestito. Un modo per rasserenare il clima e far tornare la questione degli insediamenti nell’alveo della razionalità.

Dal 20 gennaio  l’inquilino della Casa Bianca sarà tutt’altro che una persona razionale e Bibi fa conto proprio su questo. La reazione di Trump al non voto americano è infatti affidata, come al solito, a twitter. Il tweet qui sotto recita: «L’Onu ha gran potenziale ma è diventato un posto dove si parla e ce la si spassa. Triste!». In un altro tweet ha aggiunto: dopo il 20 gennaio le cose saranno diverse all’Onu!.

Il voto Onu arriva tardi e contiene anche alcune frasi ambigue: è il frutto di un testo scritto dall’Egitto e portato al voto da quattro Paesi non amici di Israele – per usare un eufemismo. Ma non è la prima volta che gli Usa si astengono. Quel che è nuovo è l’impegno del presidente eletto per influenzare il voto Onu: Trump ha fatto pressioni sull’Egitto che ha accettato di non mettere il testo al voto.

New building in Ramat Shlomo settlement outside Jerusalem

L’urgenza di una risoluzione, si segnala nel testo, riguarda il pericolo dell’insostenibilità dello status quo, con gli insediamenti che continuano a crescere e Gerusalemme est (la parte araba della città) che comincia a essere circondata da nuovi quartieri. L’idea dei due Stati, lo dicono tutti gli esperti, è quasi morta. E gli insediamenti, non fanno che renderla più impraticabile che mai. L’idea venduta dal governo israeliano che ogni nuova casa costruita sia parte di Israele stessa, rende sempre più difficile accettare i nuovi insediamenti. E il fatto che alcuni politici di primo piano come il destrorso ministro della Difesa Avigdor Lieberman,  giochino la carta interna degli insediamenti, vivendoci, è politica interna da strapazzo, aiuta a prendere voti, ma non aiuta gli altri a migliorare la situazione.

L’unico vero argomento a sostegno dell’indignazione israeliana è il fatto che il consiglio, grazie all’astensione Usa, abbia votato un testo sulla questione israelo-palestinese, dopo che per anni non è riuscito a votare quattro righe di condanna per le stragi in Siria.