No, non è il racconto rituale di un Natale fra le macerie. E nemmeno una delle mille esperienze di volontariato e altruismo. È una costellazione di storie di autorganizzazione, resistenza e militanza, quella delle Brigate di solidarietà attiva (Bsa), che vi raccontiamo sul numero di Left in edicola da venerdì 30 dicembre.
«Contro un mondo che ci vorrebbe tutti individui in lotta tra di loro per la sopravvivenza, facciamo vivere la forza della solidarietà», ripete Giuseppe Grimolizi, pescarese, papà fra meno di un mese, che gira dal 24 agosto per le montagne a cavallo tra Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo. Lì dove la terra ha tremato violentemente, facendo strage di vite e di vissuti. Trentott’anni, insegnante negli istituti tecnici, Giuseppe è uno dei promotori delle Bsa, nate a L’Aquila nel 2009, cresciute nel sisma emiliano del 2012, e prima ancora nell’alluvione di Genova e nella masseria di Nardò, lì dove partì lo sciopero dal basso dei braccianti, schiavi della filiera dell’“oro rosso”.
Giuseppe è uno degli attivisti che abbiamo conosciuto, e che vi raccontiamo, mostrandovi le loro facce, le loro storie, raccontandovi come stanno garantendo spazi di socialità, viveri, case, attività. Un po’ di normalità a chi non finito sulle coste, negli alberghi a troppi chilometri da casa.
Vi presentiamo Lucia, Maria Grazia, Elisa, Francesco. E tanti altri. Che da mesi si danno il turno, occupandosi di magazzini, spacci, cucine, progettazione. Come a Acquasanta Terme, che ha meno di 3mila abitanti disseminati per oltre trenta frazioni. E proprio le frazioni, spesso, hanno pagato il prezzo più alto, senza aiuti per giorni, con strade bloccate da frane. Due giorni dopo il sisma di agosto, invece, le brigate erano già qui con una cucina per 150 persone. «Poi ci hanno chiamato per iniziare progetti in altri paesi», ci raccontano: «Nelle nostre ricognizioni abbiamo incontrato sindaci e popolazioni diffidenti con la Protezione civile. Abbiamo imparato a essere pratici, utili, solidali». A Ussita, nel maceratese, dove duemila anni fa si rifugiò una tribù sannita, i superstiti del primo terremoto avevano trovato rifugio nei bungalow del villaggio turistico. La Protezione civile non saliva in paese. Sono state le Bsa a portare viveri e vestiti per bambini, fino alle scosse di fine ottobre che hanno fatto scappare tutti.
Ora la relazione continua durante le assemblee popolari che, spesso, si svolgono negli alberghi dove in molti provano a sottrarsi alla condizione di “ospedalizzazione”.
Left è in edicola dal 30 dicembre con questo ed altri articoli