Con uno dei sindacalisti Cgil che ha partecipato alla trattativa nella notte tra il 21 e 22 dicembre ricostruiamo la vertenza. «Non potevamo firmare, dovevamo di nuovo sentire i lavoratori. Non ci stiamo a fare i notai». E adesso? Azioni legali in arrivo

Una brutta storia quella di Almaviva Contact. Ed è stata scritta tutta in una notte, tra il 21 e il 22 dicembre. La vertenza della più importante azienda italiana di call center – 2.511 licenziamenti previsti tra Roma e Napoli – è piombata come un fulmine a ciel sereno a ridosso delle feste di Natale. Alle 3 di notte del 22 presso il ministero dello Sviluppo economico la trattativa – difficile, visti anche i precedenti – tra i sindacati e l’azienda si è interrotta bruscamente. I sindacati della sede di Napoli firmano l’accordo proposto dal Mise, quelli di Roma no. Le lettere di licenziamento, 1.660 per la precisione, sono in arrivo.

Il giorno dopo i servizi televisivi ci hanno mostrato i lavoratori disperati che si scagliano contro i sindacalisti, mentre nella notte il viceministro Teresa Bellanova comunica in un tweet: «Raggiunta intesa transitoria per evitare i licenziamenti. Rsu Napoli firmano e lavoriamo per intesa duratura. Roma scelgono di no». A Roma le Rsu hanno cercato subito di reagire, la Cgil lanciando un referendum, e la Cisl e la Uil raccogliendo firme. Ma non è servito a nulla. L’azienda, irremovibile, ha respinto qualsiasi ipotesi di riapertura della trattativa. Le lettere di licenziamento sono arrivate il 27 dicembre. Intanto la polemica infuriava sui social con un post di Luigi di Maio che si scagliava contro la Cgil a cui ha replicato Massimo Cestaro della Slc Cgil: «Non sa di che cosa parla». Cestaro ha anche denunciato la responsabilità dell’azienda definendo «un’operazione di vero e proprio sciacallaggio» il tentativo di addossare la colpa ai lavoratori e ai loro rappresentanti.

Ma cosa è avvenuto?  Dal racconto mediatico davvero sembra che la responsabilità sia dei sindacati, un modus operandi troppo facile per raccontare una vicenda intricata il cui epilogo è stato scritto in quella fatidica notte di dicembre. Va detto infatti che a maggio i sindacati dopo una mobilitazione durissima erano riusciti a impedire circa 3mila licenziamenti in alcune sedi del gruppo Roma (918 persone), Napoli (fino a 400 persone) e Palermo (1.670 persone). Ma a ottobre nonostante i lavoratori avessero accettato contratti di solidarietà penalizzanti (anche al 45%) su salari che spesso sono part-time e quindi da miseria (anche 500 euro), di nuovo l’azienda ha comunicato ai sindacati la procedura di riduzione del personale. Di nuovo tutto da rifare, dunque, stavolta però con più sfiducia da parte degli stessi lavoratori, usciti sfibrati dagli scioperi della primavera e dalle notizie di delocalizzazioni in Romania da parte del gruppo italiano.

Il sindacato su cui è stata maggiormante scaricata la responsabilità della rottura della trattativa è la Cgil, presente con sette rappresentanti all’interno della Rsu. Massimiliano Montesi è uno dei 7 e ci racconta cosa è successo. «Fino al 21 pomeriggio avevamo anche da parte di tutte le strutture nazionali, Cgil, Cisl, Uil e Ugl una piattaforma in cui non si doveva toccare il salario, perché parliamo di salari che stanno già sotto i 600 euro per il 70%, essendo part-time di 4 ore, e che non si sarebbe dovuto toccare per una singola azienda il capitolo relativo all’articolo 4, cioè il controllo individuale a distanza della prestazione. Su questo punto, si sarebbe dovuto intervenire all’interno del contratto nazionale, con delle linee guida valide per tutti, per evitare che l’articolo 4 diventasse uno strumento di dumping tra azienda e azienda». Questo il quadro di partenza. Poi, accade che il governo chiede ai segretari generali di rivedere la propria linea e «si prendono per buoni tutti i punti che prima erano definiti intrattatabili dalle organizzazioni sindacali», dice Montesi. «E cioè abbassamento delle retribuzioni e controllo individuale delle prestazioni e soprattutto la richiesta di strumenti per far diventare più produttivi i siti di Napoli e Roma», spiega il rappresentante Rsu.

I sindacati sono arrivati all’incontro al Mise con un mandato ben preciso da parte dei lavoratori, dopo ben quattro assemblee. «Dal 14 al 21 dicembre siamo andati a trattare con il mandato della stragrande maggioranza delle persone e cioè che quei temi non si sarebbero dovuti toccare. Nessuna firma». La notte del 22 la Rsu hanno chiesto a tutti di fermarsi per 24-12 ore per consultare di nuovo i lavoratori «per verificare se avevamo un mandato diverso da quello uscito in assemblea», continua Montesi. «Non ci è stato consentito. La sospensiva l’abbiamo proposta noi, non il governo, ma ce l’hanno bocciata. L’abbiamo chiesta come Rsu, come segreteria territoriale e segretaria di Roma e Lazio».

«Questo accordo è brutto, è allucinante quello che è stato firmato. Comunque tu vai a legittimare dei licenziamenti se non cambi determinate cose. Che ci può anche stare – continua Massimiliano Montesi – ma a quel punto tutte le sigle sindacali dovremmo avere il coraggio di dire ai nostri colleghi qual è oggi il nostro ruolo, ossia quello di notaio per tentare di fermare la crisi in qualche modo e discutere con le aziende di abbassamento di salari e diritti per fronteggiare la globalizzazione». Parole amare che riflettono la difficoltà di una trattativa che a Roma ha portato al  muro invalicabile da parte dell’azienda che costa 1.660 persone licenziate. Per i lavoratori di Napoli ci sono tre mesi di ammortizzatori sociali, un periodo durante il quale però si deve trovare un accordo su abbassamento del costo lavoro, modalità di controllo a distanza e recupero efficienza e produttività. «Se non avviene l’azienda è libera di licenziare». A Napoli, spiega Montesi, la firma è stata possibile perché il mandato dei lavoratori era più “libero” rispetto alle assemblee di Roma.

I dipendenti di Almaviva Contact della Capitale avevano detto un chiaro no, anche se tanti di quei dipendenti che protestavano davanti alle telecamere dei tg alle assemblee però non si erano visti, continua il rappresentante Rsu. E comunque al referendum promosso dalla Cgil se i sì erano stati 590 per il no si erano comunque espressi in 490. E adesso? Si andrà per vie legali. Almaviva Contact, ricordiamo, è solo una parte del colosso italiano dell’innovazione tecnologica con 45mila persone impiegate in tutto il mondo. Le Rsu di Almaviva Spa, che, come informatici fanno parte dei metalmeccanici, ricordano come in questo momento in cui ci sono opportunità di ripresa per il settore – dopo una crisi che l’aveva investito nel 2013 – la pioggia di ricorsi legali «determinerebbe una situazione di incertezza» proprio in un momento in cui Almaviva avrebbe bisogno invece di stabilità. «Un gesto di responsabilità da parte dell’azienda – si legge nel loro comunicato – sarebbe utile anche a restituire un po’ di credibilità e di rispetto al nome di Almaviva che non era mai caduto così in basso».

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.