39 morti, più di 60 feriti. Sono questi i numeri del Capodanno a Istanbul dopo l’attentato dell’altra notte al Club Reina, una delle discoteche più in voga della città, un simbolo della Istanbul europea e cosmopolita, situato proprio lì sul Bosforo, sull’eterno confine fra Oriente e Occidente. Un confine che oggi e in quest’anno appena trascorso la Turchia simboleggia alla perfezione, lo fa da sempre, da quando Istanbul era Bisanzio o Costantinopoli avamposto dell’impero romano in Oriente o del cristianesimo impegnato nelle sue crociate. Per anni il dibattito sull’ammissione o meno della Turchia in Europa è stato acceso e la questione è proprio questa: la penisola Anatolica, lì protesa in mezzo al Mediterraneo, è est o ovest? Si sono scomodati anche i geografi dicendoci che a ben guardare placche e morfologia terrestre, i confini dell’Europa vanno dagli Urali alla catena montuosa di cui fa parte il monte Arat, nella Turchia orientale.
L’attentato ancora non è stato rivendicato, ma molti elementi fanno pensare a Isis.
[caption id="attachment_92898" align="aligncenter" width="1024"] Il presunto killer. Prima di sparare avrebbe urlato: «Allah Akbar»[/caption]
Ciò che è certo è che è avvenuto sul confine, lì dove è più facile estendere il “contagio”, rosicchiare terreno alle porte dell’Europa e aumentare il caos che in Turchia è già tanto, viste le premure del presidente Erdogan per far fuori dal gioco i propri oppositori e mettere a tacere la scomoda minoranza curda.
Nel 2016 la Turchia è stata vittima, oltre che di un finto golpe, di molti altri attentati, gli ultimi poche settimane fa, il 10 dicembre, quando una bomba piazzata pare da un gruppo estremista curdo fuori dallo stadio di Istanbul aveva ucciso 44 persone, e poi con l’assassinio in diretta dell’ambasciatore russo. Ma anche quando era esplosa una bomba durante una manifestazione pacifista o quest’estate un attacco bomba probabilmente di matrice jihadista durante un matrimonio aveva fatto almeno 30 vittime. O il 28 giugno di nuovo Isis con la bomba all’aeroporto Ataturk, i morti furono 41.
D’altronde nei periodi di instabilità è questo il destino delle terre di confine. In Turchia il terrorismo è la nuova normalità come ha dichiarato Zeynep Ozman, fratello di un superstite ferito nell’attentato del 31 sera: «Non so cosa dire, non voglio dire nulla di politico, ma non possiamo accettare che questa sia diventata ormai la regola. Il terrorismo è ovunque nel Paese e il governo non ha controllo. Ad Istanbul non si vive più»
[caption id="attachment_92899" align="aligncenter" width="1024"] Istanbul in lutto, fiori per le vittime del massacro al Club Reina[/caption]
Alle mire geopolitiche dello stesso Erdogan, della minoranza curda e di Daesh si aggiungono ovviamente la crisi dei migranti e la delicata questione siriana. E anche qui, sulla Siria la posizione turca è oscillata da un lato all’altro della barricata (sempre sul limite fedele solo al suo essere confine) prima supportando gruppi anti-Assad e poi schierandosi dalla parte di Russia e Iran al fianco del dittatore.
E mentre ancora si cerca di fare chiarezza sulla matrice del massacro del Club Reina e in Turchia è caccia all’uomo per cercare di catturare l’attentatore, quello che emerge con forza è il tema del confine, inteso anche come limite di un progetto europeo occidentale che sembra aver perso di forza all'esterno e all'interno, assediato com’è dai nuovi venti populisti.
Come ricorda il sociologo Zygmunt Bauman: «I confini dividono lo spazio; ma non sono pure e semplici barriere. Sono anche interfacce tra i luoghi che separano. In quanto tali, sono soggetti a pressioni contrapposte e sono perciò fonti potenziali di conflitti e tensioni». Questo è il nostro caso. La Turchia ne è, oggi più che mai, il simbolo.
39 morti, più di 60 feriti. Sono questi i numeri del Capodanno a Istanbul dopo l’attentato dell’altra notte al Club Reina, una delle discoteche più in voga della città, un simbolo della Istanbul europea e cosmopolita, situato proprio lì sul Bosforo, sull’eterno confine fra Oriente e Occidente. Un confine che oggi e in quest’anno appena trascorso la Turchia simboleggia alla perfezione, lo fa da sempre, da quando Istanbul era Bisanzio o Costantinopoli avamposto dell’impero romano in Oriente o del cristianesimo impegnato nelle sue crociate. Per anni il dibattito sull’ammissione o meno della Turchia in Europa è stato acceso e la questione è proprio questa: la penisola Anatolica, lì protesa in mezzo al Mediterraneo, è est o ovest? Si sono scomodati anche i geografi dicendoci che a ben guardare placche e morfologia terrestre, i confini dell’Europa vanno dagli Urali alla catena montuosa di cui fa parte il monte Arat, nella Turchia orientale.
L’attentato ancora non è stato rivendicato, ma molti elementi fanno pensare a Isis.
Ciò che è certo è che è avvenuto sul confine, lì dove è più facile estendere il “contagio”, rosicchiare terreno alle porte dell’Europa e aumentare il caos che in Turchia è già tanto, viste le premure del presidente Erdogan per far fuori dal gioco i propri oppositori e mettere a tacere la scomoda minoranza curda. Nel 2016 la Turchia è stata vittima, oltre che di un finto golpe, di molti altri attentati, gli ultimi poche settimane fa, il 10 dicembre, quando una bomba piazzata pare da un gruppo estremista curdo fuori dallo stadio di Istanbul aveva ucciso 44 persone, e poi con l’assassinio in diretta dell’ambasciatore russo. Ma anche quando era esplosa una bomba durante una manifestazione pacifista o quest’estate un attacco bomba probabilmente di matrice jihadista durante un matrimonio aveva fatto almeno 30 vittime. O il 28 giugno di nuovo Isis con la bomba all’aeroporto Ataturk, i morti furono 41.
D’altronde nei periodi di instabilità è questo il destino delle terre di confine. In Turchia il terrorismo è la nuova normalità come ha dichiarato Zeynep Ozman, fratello di un superstite ferito nell’attentato del 31 sera: «Non so cosa dire, non voglio dire nulla di politico, ma non possiamo accettare che questa sia diventata ormai la regola. Il terrorismo è ovunque nel Paese e il governo non ha controllo. Ad Istanbul non si vive più»
Alle mire geopolitiche dello stesso Erdogan, della minoranza curda e di Daesh si aggiungono ovviamente la crisi dei migranti e la delicata questione siriana. E anche qui, sulla Siria la posizione turca è oscillata da un lato all’altro della barricata (sempre sul limite fedele solo al suo essere confine) prima supportando gruppi anti-Assad e poi schierandosi dalla parte di Russia e Iran al fianco del dittatore.
E mentre ancora si cerca di fare chiarezza sulla matrice del massacro del Club Reina e in Turchia è caccia all’uomo per cercare di catturare l’attentatore, quello che emerge con forza è il tema del confine, inteso anche come limite di un progetto europeo occidentale che sembra aver perso di forza all’esterno e all’interno, assediato com’è dai nuovi venti populisti.
Come ricorda il sociologo Zygmunt Bauman: «I confini dividono lo spazio; ma non sono pure e semplici barriere. Sono anche interfacce tra i luoghi che separano. In quanto tali, sono soggetti a pressioni contrapposte e sono perciò fonti potenziali di conflitti e tensioni». Questo è il nostro caso. La Turchia ne è, oggi più che mai, il simbolo.