Dopo il 4 dicembre in molti invocavano i referendum di primavera della Cgil come l'occasione per dire un altro no alle politiche del governo. Ma la Consulta ha ammesso solo due quesiti su tre. Che restano però un'occasione da non sprecare. Ne parliamo con Pippo Civati

All’indomani della vittoria del No, il 4 dicembre, in molti invocavano il referendum di primavera della Cgil per esprimere un voto politico direttamente sulle politiche del governo, quelle del lavoro in particolare. Ma la Consulta ne ha ammessi solo due su tre. L’ok è arrivato al quesito sui voucher e a quello sulla responsabilità di committenti, appaltatori e sub-appaltatori nei confronti dei lavoratori impiegati negli appalti. Lo stop dei giudici, invece, è per il terzo quesito, quello sull’articolo 18. Cosa cambia? Lo abbiamo chiesto a Pippo Civati, leader di Possibile.

Ieri la sentenza della Corte, la confusione è tanta. E adesso?
Ovviamente sarebbe stato meglio avere la possibilità di esprimere un giudizio su tutto il Jobs act, articolo 18 compreso. Anche per mantenere un filo rosso, una corda tesa, con il voto del 4 dicembre. Ma anche così, questa resta una grande occasione per consentire ai cittadini di esprimersi sulla loro vita, sulle loro condizioni di lavoro e di vita.

La partita non è menomata?
No. I due quesiti rimasti interrogano e sollecitano comunque il Parlamento a una retromarcia, perché portano comunque a una riflessione sulla natura del contratto a tutele crescenti. Oltre a invocare due Sì, saremo portati infatti a ragionare su cosa fare di diverso, a parlare di reddito. A elaborare una proposta.

Possiamo, dunque, parlare di un “referendum sulla precarietà”?
Certo. Ma anche sullo sfruttamento. È l’occasione per parlare di controllo e rispetto dei diritti nel mondo del lavoro. Ma lo vedi che già parlandone tu e io nascono mille considerazioni? Sono tante le questioni che emergono, dai modi di produzione alla responsabilità di chi fa impresa, dallo strumento del cottimo alla totale sindacabilità nei rapporti di lavoro. Dobbiamo insomma fare i conti con il fatto che c’è stata un’accelerazione, verso il basso, in tema di diritti. E che la cosa spiacevole è che ad accelerare sia stato quel centrosinistra che si era candidato per cambiare invece direzione.

Veniamo al quesito bocciato. Sentenza politica della Consulta, errore della Cgil o cosa?
Senza nessun intento polemico, davvero, non credo che i giudici costituzionali siano a disposizione delle correnti del Pd. Ma, ripeto, senza polemiche, credo che quel quesito fosse troppo “largo” e si è esposto così a una tensione che potevamo evitarci. Teneva dentro due riforme del lavoro ed estendeva a tutte le categorie l’articolo 18. Per non rischiare si poteva chiedere semplicemente: vuoi tu tornare a prima della Fornero? Sarebbe stato abbastanza. Poi, un voto favorevole, avrebbe portato a un ripensamento generale. Ma la mia è una considerazione, non una critica.

Sinistra italiana ha presentato una mozione in Aula – calendarizzata il 23 gennaio – per chiedere al governo di fissare subito una data per il referendum. Ma ha anche presentato in commissione Lavoro una proposta di legge per l’abolizione dei voucher, chiedono l’abolizione e non un «solo maquillage». Che ne dici?
Che hanno fatto bene. In attesa che succeda qualcosa tra le correnti del Pd, tra Franceschini e Renzi, il Parlamento deve reagire. La proposta di legge di Sinistra italiana credo rimarrà una “provocazione”, non credo che il governo abolirà i voucher, ma pone comunque il tema. È davvero sorprendente che le prime due forze politiche in Parlamento non siano disponibili a fare diventare la questione dei lavoratori centrale. Perciò è apprezzabile l’intervento di Sinistra italiana, così magari usciamo dal pensiero unico… Anzi no, scusa, di pensiero ce n’è poco, dall’interesse unico direi.

Scusa se ti chiedo del Pd. Ma la loro maggioranza terrà?
Se pensano di affrontare anche questa questione con l’arroganza rischiano tanto, perché il tema dei voucher è molto popolare. Quindi cercheranno di ridimensionare il referendum intervenendo sui voucher, ma facendolo segneranno comunque una vittoria della Cgil, riuscita così a mettere in discussione qualcosa che il Pd non avrebbe in realtà mai messo in discussione. Nella maggioranza, però, non è su questo che litigheranno. La rottura credo si consumerà su un altro punto, tra chi vuole arrivare alla fine della legislatura e chi vuole votare subito. Se Gentiloni vuol durare deve fare qualcosa, e per Renzi è esattamente il contrario. Il che vale sul lavoro, ma anche su scuola, povertà, legge elettorale.

E sull’altro fronte. Che farà la sinistra da qui a primavera?
Spero sinceramente che non ci si divida sulla “questione” del quesito. Vedo che Pisapia ha riaperto la “stagione del ghirigori”, ma questa dei voucher è una questione dirimente per la vita di chi lavora e per la cultura del lavoro che c’è dietro. Noi dobbiamo concentrarci su questo, sulle questioni serie, per uscire dall’incubo. E per farlo dobbiamo essere autonomi, dal Pd, l’ho ripetuto mille volte.

Quanto è concreto il rischio che si litighi, anche su questo, a sinistra?
Chi ha dubbi se li risolva, sennò siamo in un eterno congresso.

Eterno congresso di un partito che non c’è, tra l’altro.
Appunto. Con un programma condiviso sarebbe più semplice anche costruire una posizione politica. Alle persone interessa sapere cosa faremmo noi. Se scegli invece il “politicismo” come chiave di lettura della realtà, la gente vota qualcuno che governi, vota il Pd o i 5 stelle che peraltro, sul lavoro, rischiano di somigliarsi molto, perché sono trasversali e cercano il voto di tutti. Il consenso facile, senza una lettura di sistema. Ecco: noi dovremmo fare esattamente il contrario.