Continuerà la straordinaria democrazia partecipativa dimostrata dal referendum del 4 dicembre? Lo sapremo domani. Sabato 21 gennaio è il ComitatoDay. L’assemblea nazionale dei rappresentanti degli oltre 700 comitati che sono nati in tutta Italia per dire No alla revisione costituzionale Renzi-Boschi, dovrà decidere se e come proseguire la battaglia sulla legge elettorale e se e come contribuire alla campagna referendaria dei Comitati del Sì per i referendum anti Jobs act promossi della Cgil. A Roma, vicino a San Giovanni (Spin Time Labs, via Statilia 15, ore 10-17), il movimento trasversale formatosi spontaneamente da costituzionalisti, giuristi, membri di associazioni e forze politiche in ordine sparso, dovrà lanciare una sfida per il futuro. Abbiamo intervistato l’avvocata Anna Falcone, vicepresidente del Comitato per il No e tra i giuristi più attivi durante i lunghi mesi della campagna referendaria.
Anna Falcone, domani è il giorno dell’assemblea nazionale del Comitato per il No. La vittoria del 4 dicembre è stata eclatante, anche se ormai è lontana. Ci sono all’orizzonte i referendum promossi dalla Cgil sui voucher e sugli appalti e il 24 gennaio l’udienza della Corte costituzionale sull’Italicum. In questo scenario, quali prospettive hanno i Comitati per il No?
Quella di continuare a vigilare sul rilancio della Costituzione come cuore del nostro ordinamento e perno per l’attuazione di una democrazia ancora incompiuta. Le prossime battaglie per i referendum sul lavoro e la legge elettorale saranno un ottimo banco di prova, ma non finisce lì: c’è la sfida della democrazia partecipativa, un modello opposto a quello del plebiscitarismo leaderistico che ha inquinato il panorama politico negli ultimi anni. Dobbiamo insistere per far affermare un modello democratico dove i partiti siano finalmente organizzati democraticamente e i cittadini siano coautori delle proposte politiche e amministrative, proponenti delle candidature alla cariche elettive pubbliche e valutatori finali della gestione della cosa pubblica. È un modello di reciproco coinvolgimento e responsabilizzazione, il Paese non può andare avanti affidandosi agli uomini della provvidenza o a classi dirigenti improvvisate, che brillano più per fedeltà al ‘capetto’ di turno che per trasparenza e capacità personali.
Quale contributo possono dare i Comitati per la legge elettorale, al di là della sentenza della Corte costituzionale?
Stiamo lavorando a una nostra proposta che sarà condivisa con i comitati territoriali e, al più presto, nel dibattito pubblico. Penso che poche leggi, come quella elettorale, debbano essere ampiamente condivise fra tutti i soggetti politici e fra i cittadini in primis, affinché possa rappresentarli al meglio e durare nel tempo, non solo lo spazio di una legislatura, per essere poi cambiata alla vigilia delle elezioni nella speranza di blindare il risultato a favore della maggioranza uscente: è una delle tante prassi antidemocratiche che bisogna cambiare.
I Comitati per il No non sono un partito politico, lei l’ha detto spesso. Durante la campagna referendaria però hanno raccolto anche tanti cittadini delusi dalla Sinistra. Potrebbero servire come “pungolo”? E come?
Possono senz’altro svolgere un ruolo importante per riaccendere la passione civile e il desiderio di partecipazione dei cittadini. Da questo punto di vista, la battaglia referendaria è stato l’inizio di un percorso che può andare avanti su tante altre sfide democratiche. Detto ciò, il nostro Comitato è composto da diverse sensibilità politiche e culturali che rimango autonome e libere nelle loro scelte politiche. Dalla Sinistra mi aspetto, però, che sappia cogliere il messaggio che è arrivato dalle urne il 4 dicembre: i cittadini partecipano se sanno di poter contare, altrimenti rifuggono da una democrazia ormai solo formalmente rappresentativa, ma sostanzialmente lontana dai bisogni e dalle priorità delle persone. Per questo occorre cambiare radicalmente il modo in cui i partiti si organizzano, elaborano le loro proposte politiche e fanno le loro scelte. È la fine di un’epoca caratterizzata dalle decisioni calate dall’alto, da leaders e classi dirigenti autonominate e autoreferenziali, da decisioni di pancia imposte per autoacclamazione, della politica degli slogan. Chi prima lo capirà, prima riuscirà a guadagnare spazi e credibilità politica fra i tanti italiani delusi e lontani dai partiti. In definitiva: o la politica attuale risponde con uno scatto di qualità, di uomini e idee, o è destinata ad essere superata e travolta.
Lei si è spesa molto durante la campagna referendaria, qual è il popolo che ha incontrato? Giovani, adulti, disoccupati, intellettuali? Che cosa le hanno dato i cittadini?
Molti, moltissimi giovani e tanti over 65. Manca buona parte della mia generazione e di chi dovrebbe essere la parte più attiva della società. È stato triste constatare come molti lavoratori o persone in cerca di occupazione avessero timore ad esporsi per paura di ‘bruciarsi’ opportunità di lavoro. Poi sono andati lo stesso alle urne e hanno votato NO, perché il voto referendario impedisce strette forme di controllo, ma questa è un’altra delle battaglie su cui impegnarsi: smarcare il mondo del lavoro dal monopolio di certa ‘mala politica’. È intollerabile che, soprattutto in un momento di tale crisi economica, si lavori solo se affiliati a una qualche ‘chiesa’ o ‘lobby’ di potere, a prezzo della propria libertà e dignità personale. Su questa e su tante altre battaglie di giustizia ed equità sociale, i cittadini ci hanno chiesto di continuare a impegnarci. Ho con loro un debito morale e umano, anche per la passione e la forza ideale che ci hanno trasmesso, che deve sarà onorato. È un mio impegno personale.
In questo periodo ci sono movimenti a sinistra: la costituzione di Sinistra italiana, Pisapia e il suo campo progressista… C’è spazio per una forza unitaria alla sinistra del Pd, tenendo conto del fatto che i 5 Stelle hanno ancora consenso?
Non credo che il consenso della Sinistra vada eroso dall’elettorato dei 5 Stelle, ma dalla maggioranza degli astensionisti che da tempo disertano le urne e i luoghi della politica. Non a caso, molti di loro si dichiarano orfani della sinistra che non c’è. Quanto a Sinistra italiana, credo che il prossimo congresso potrebbe essere un’ottima occasione per rilanciare e modernizzare la sua proposta politica, puntando su una strategia innovativa per i diritti e lo sviluppo del Paese: lavoro e reddito minimo, salute e prevenzione, istruzione pubblica, ricerca di base e di eccellenza, accesso alle nuove tecnologie, ambiente e sviluppo sostenibile, politiche di equità e giustizia sociale, a partire da una più equa fiscalità, nuova strategia europea, sovranità monetaria per l’euro ecc. Tanti di noi auspicherebbero una larga alleanza a sinistra, che scongiuri le coalizioni centro destra-centro sinistra, ma le alleanze vengono dopo la proposta politica e dipendono dalla coerenza fra i temi proposti dalle parti, dalla credibilità dei singoli soggetti politici e delle persone che li rappresentano. Pensare a un soggetto politico della Sinistra che nasca per essere la stampella di un Pd che – per come si presenta oggi – è più a destra di altri partiti conservatori, è politicamente miope e non affascina nessuno di quanti chiedo un netto cambiamento di rotta nel governo e per il Paese.
Da questo punto di vista, la maggiore responsabilità (o irresponsabilità) per la costruzione di una alleanza progressista pesa sul Pd, che continua a guardare altrove, non su altri.
Se la sentirebbe di dare una mano, in qualche modo, alla Sinistra? Anche con una eventuale candidatura?
Lo ripeto: sogno una democrazia in cui siano i cittadini a scegliere i propri candidati, non i singoli ad autocandidarsi. Credo sia una delle precondizioni essenziali per rifondare un rapporto di reale fiducia fra eletti ed elettori. Io continuerò comunque a condurre le battaglie per i diritti e la democrazia che condivido con tanti e che credo siano alla base della buona politica e dell’impegno civile di ognuno di noi. Il futuro ci indicherà i modi e gli strumenti migliori per raggiungere questi obiettivi.