Dopo l'inaugurazione, le proteste e la "Women march" di Washington, Trump e il suo staff presentano una versione distorta della realtà: alla inaugurazione c'era più gente che a quella di Obama, con la Cia non c'è mai stato nessun problema e i media fanno di tutto per delegittimare questa presidenza

Non sono bugie clamorose, ma “alternative facts”, fatti alternativi. Così Kellyanne Comway, che all’inaugurazione era vestita come un soldato britannico del ‘700 e di mestiere fa la consigliere del presidente. Durante un’intervista piuttosto dura da affrontare di domenica mattina, il momento della politica nella Tv americana, Comway faceva riferimento alle prime due uscite pubbliche del presidente Trump e del suo portavoce Sean Spider. I fatti alternativi sono presto detti: durante la prima conferenza stampa Spider ha attaccato i media per aver sostenuto che alla marcia delle donne su Washington, così come al giuramento di Obama nel 2009 avesse partecipato più gente che alla cerimonia di inaugurazione. Due notizie clamorosamente false. A provarlo ci sono le foto, il numero di biglietti venduto dai sistemi di trasporto pubblico di Washington e da Amtrak, la società ferroviaria. E poi il buon senso e gli occhi di tutti coloro che c’erano.

«Sappiamo che c’erano 250mila persone sotto il palco e che era tutto pieno fino al monumento a Washington ne entrano altre 500mila, sappiamo che più persone hanno usato la metropolitana che non durante l’inaugurazione di Obama, sappiamo che questa è l’inaugurazione più partecipata di sempre. Punto». Questo è Spicer. Trump, parlando alla Cia, prima uscita pubblica da presidente, ha parlato di un milione e mezzo. Una serie di clamorose bugie messe in fila. Negli spazi descritti da Spicer entrano al massimo 400mila persone, lui parla di 700mila e il giorno in cui Obama ha giurato 200mila persone in più hanno comprato biglietti (nel 2009 erano erano 500mila in più) – e c’è da aggiungere che venerdì nella capitale hanno manifestato in decine di migliaia, cosa non accaduta nel 2009 e nel 2012.

Eppure il tono di Spicer è categorico: la realtà è un’altra e ve la diciamo noi. Gli altri sono nemici di Trump e, quindi, nemici del popolo – che il presidente rappresenta, finalmente e come non era mai capitato, alla Casa Bianca. Dopo il discorso inaugurale in cui si dipingeva un’America al collasso, siamo allo spin violento, nel video qui sotto leggete l’aggressività di Spicer, che in teoria dovrebbe facilitare, rendere fluido il lavoro di comunicazione di Trump. E invece va alla guerra. In sala stampa sembra che tutti avessero la bocca spalancata. La foto qui sotto è inequivocabile. Non basta? Spicer ha spiegato che è un effetto ottico perché «per la prima volta nella storia il prato era coperto da teloni e sono stati usati magnetometri (le macchine attraverso le quali si passa in aeroporto) all’ingresso». Falsa la prima: i prati erano già stati coperti in precedenti occasioni. Falsa la seconda: all’inaugurazione non sono stati usati magnetometri.

2009-2017, le due inaugurazioni

 

Su twitter un account umoristico denominato “Sean Spicer Facts” ha già 7500 follower spiega, tra mille altre battute che «Trump è il primo uomo ad aver camminato sulla luna. Punto».

 

Poi c’è il presidente che parlando al personale della Cia, si presenta spiegando che no, lui e l’agenzia di intelligence non hanno un problema – relativo alla Russia e a come la vicenda dell’hackeraggio è stata gestita – promette che grazie agli agenti lui vincerà tutte le guerre, ribadisce che gli Usa si sarebbero dovuti tenere il petrolio iracheno (e che chissà, magari un giorno). Ma soprattutto, Trump ricorda come sia in corso una guerra tra lui e i media: «Sono in guerra con i media, sono la gente più disonesta del mondo e hanno raccontato che sia in corso una guerra tra me e voi». In sala applausi, di circostanza o meno e anche grida e boati di sostegno. Peccato che questi, come già durante la conferenza stampa tenuta prima dell’inaugurazione, venissero da una parte dello staff che il presidente si era portato dietro. Dalla claque, insomma.

Da ultimo ha parlato il moderato della banda repubblicana che gestisce la comunicazione e il lavoro del presidente, l’ex capo del Republican National Commitee e oggi capo dello staff Reince Priebus, che ha detto: «I media stanno cercando di delegittimare questa presidenza, non li lasceremo fare».

L’idea dello staff di Trump, evidentemente quella di aggirare i media tradizionali e parlare direttamente con la base attraverso l’account twitter del presidente, le talk radio conservatrici, FoxNews e i siti conservatori. Un pubblico che ha votato Trump e che tende ad ascoltare e cercare notizie da un numero di fonti limitato: le indagini sul consumo di news indicano come il pubblico più conservatore differenzi meno il proprio consumo di notizie. Gli show più ascoltati delle talk radio conservatrici fanno una trentina di milioni di ascolti al giorno, tra un pubblico soprattutto over 50, maschio e bianco. Ovvero lo stesso che vota Trump e FoxNews è il canale all news più visto, con la trasmissione del prime time, l’O’Reilly Factor che da molti anni a questa parte è la cosa più vista – anche se i numeri sono tendenzialmente bassi rispetto a quelli dei grandi network: O’Reilly è seguito in media da 2,6 milioni di persone ed ha una media oraria di un milione e 600mila telespettatori. È questo l’ambiente chiuso nel quale è cresciuta l’onda del Tea Party nel 2010 e che ha contribuito ad eleggere il presidente outsider.

L’amministrazione entrata in carica in questi giorni, evidentemente ha scelto di continuare a nutrire questo pubblico e rompere con tutti i media che tendono a dare notizie. Apparendo come in contrasto costante con “il sistema” Trump segnala di non voler ampliare la propria base e di continuare a presentare a chi l’ha votato una realtà alternativa. Una scelta strategica pericolosa: Trump entra alla Casa Bianca come il presidente meno popolare di sempre e non prova ad ampliare la sua base o cercare consensi ma a continuare a rimarcare le differenze tra sé e Washington. Che si tratti dei politici, dell’amministrazione Obama, degli eletti del suo partito o dei media. La scelta ha pagato in termini elettorali, ma difficilmente contribuirà a rasserenare il clima o a unire un Paese mai così diviso politicamente.

Non è la prima volta che i presidenti dicono bugie: lo fece Nixon prima e durante il Watergate, lo fece Reagan parlando dello scandalo Iran-Contra e lo fece Clinton durante lo scandalo che coinvolgeva Monica Lewinsky. Come nota Maria Konnikova su Politico, quei presidenti erano nel mezzo di guai e scandali e mentivano per difendere la presidenza e la reputazione personale. Trump invece sembra essere un mentitore seriale e i suoi hanno deciso di muoversi come una falange e di non cercare nemmeno a frenarne gli istinti.