Per quattro giorni abbiamo patito insieme, abbiamo soffiato sulla stessa speranza, costruiamo una corale gratitudine per gli uomini dei soccorsi, concordiamo (letteralmente, ognuno con il proprio cuore) nella felicità dei salvati e nel dolore per le vittime.
Una porzione consistente di questo Paese, quindi, è capace di compassione, di patire insieme. Una lezione costosissima (la neve deve ancora dirci quante sono le vittime a Rigopiano) che ci racconta che il cuore di questo Paese pulsa ancora nonostante i falchi, gli sciacalli profeti del cattivismo e gli imbonitori della paura.
Ora, al di là dell’indagine delle responsabilità e della seria prevenzione e della preservazione del territorio, ci sarebbe anche un’altra sfida. Una sfida alta, forse anche così lontana da questi tempi di amori e disamori che durano meno di una legislatura e soprattutto distante da quest’era di proclami: ci sarebbe da decidere che questo prodotto interno cardiaco sia il capitale sociale da cui ripartire. Riconoscere che tenere accesa questa densa convergenza sociale anche senza lutti, sarebbe il compito della politica e dei suoi ideali.
Se imparassimo la lezione di tutta questa compassione, di questo prodotto cardiaco interno, saremmo un gran bel Paese.
Buon lunedì.