Transparency International ha pubblicato l’indice di percezione della corruzione 2016.
Restringendo il focus sui Paesi dell’Unione europea, l’Italia figura tra i tre Paesi “più corrotti” insieme alla Grecia e alla Bulgaria. A livello globale, su 176 Stati, l’Italia si colloca al 60esimo posto (la mappa nell’immagine qui sopra mostra la situazione globale: più azzurro, meno corruzione, più rosso più corruzione).
Sebbene la performance del Belpaese non sia brillante, va notato che, a livello di trend, l’Italia sta risalendo la china: il suo “score” è aumentato da un pallido 42 del 2012 a un 47 di quest’anno (il punteggio calcolato da Transparency International va da 0 a 100).
Transparency International sottolinea che nel 2016 ben due terzi dei Paesi ricadono al di sotto dei 50 punti. Il punteggio medio globale si attesta infatti a 43. E se l’Italia ha migliorato la sua prestazione assoluta, secondo l’organizzazione, nel mondo, «la maggior parte dei Paesi ha peggiorato il proprio score». Del resto è però un Paese europeo a guidare la classifica mondiale: la Danimarca, si attesta in cima alla graduatoria con 90 punti.
Al centro della riflessione tematica del rapporto di Transparency International si ritrova il legame fra livelli di corruzione e disuguaglianza: i due fenomeni «sono strettamente connessi» e creano terreno fertile «per lo scontento popolare». Conseguentemente, l’organizzazione sottolinea che sono i leader populisti a sfruttare questo quadro negativo: «Utilizzano il messaggio “corruzione-disuguaglianza” per alimentare il consenso, ma non hanno soluzioni reali».
In un’analisi di supporto al rapporto, Finn Heinrich mette a confronto l’indice di percezione della corruzione e l’indice di “esclusione sociale” (l’esclusione sociale è un concetto ampio che indica uno stato di deprivazione non prettamente economico, ma che include anche una dimensione sociale “di relazioni”, ndr.) dimostra che esiste una forte correlazione fra le due. In altri termini, i Paesi con un forte grado di percezione della corruzione sono quelli in cui l’esclusione sociale è più rilevante.
Sebbene la correlazione non indichi un rapporto di causa effetto, altre analisi statistiche dimostrano che i due fenomeni si alimentano a vicenda. Come riporta Heinrich, «la corruzione comporta una distribuzione ineguale del potere nelle società, la quale si traduce, a sua volta, in una distribuzione disuguale di ricchezza e pari opportunità».
Secondo Heinrich esistono poi due movimenti politici distinti che sfruttano il legame corruzione-diseguaglianza. Da una lato, ci sono i vari Trump di turno, dall’altro il movimento globale contro le disuguaglianze capitanato da organizzazione non governative e intellettuali come Thomas Piketty e Branko Milanovic. «Partiti anti-establishment falliscono miseramente il problema della corruzione, sebbene ne facciano un cavallo di battaglia», scrive Heinrich, prima di citare il caso del Movimento 5 Stelle a Roma come «un esempio» di scuola.
Ma esiste una via d’uscita? Sì, e la ricetta di si compone di 4 indicazioni chiave:
- fermare il fenomeno delle porte girevoli fra business e politica;
- evitare che leader corrotti possano nascondersi dietro a “immunità” politiche;
- rafforzare i controlli su istituti di credito, rivenditori di beni di lusso, studi legali e imprese edili che favoriscono il riciclaggio di “denaro sporco”;
- mettere fuori legge l’utilizzo di aziende fantoccio che servono a nascondere i veri referenti di attività economiche.
Ovviamente, come sottolinea Transparency International, sono azioni che non cadono dal cielo, ma «richiedono un investimento sostanziale a livello politico, capitanato da leader di governo in grado di affrontare i poteri forti».