Primo Levi non ha ancora il posto che merita nella storia della letteratura. Il suo essere stato ad un tempo grandisismo scrittore e testimone, il suo strenuo coraggio nel ricostruire la disumana verità dei lager, e la sua ricerca di una forma letteraria per poter dire ciò che tutti dicevano essere indicibile ne fanno ancora oggi uno scrittore scomodo, anche perché ci richiama costantemente alla nostra responsabilità in quanto italiani.
” Il nazismo in Germania è stato la metastasi di un tumore che era in Italia“, diceva, ma noi italiani ci siamo sempre aggrappati all’alibi che i campi di concentramento li avevano fatti i tedeschi. ” Li hanno fatti loro, ma li abbiamo inventati noi”, insisteva Levi ricordando stragi come quella compiuta a Torino da Piero Brandimarte negli anni Trenta.
I due volumi di opere complete di Primo Levi pubblicati da Einaudi con le nuove nore curate da Marco Belpoliti aiutano ad avvicinarci alla sua poliedrica perosnalità di scienziato, romanziere, scrittore che ha percorso i generi più diversi, compresa la fantascienza. Questa nuova iniziativa editoriale che viene presentata oggi 27 gennaio alla biblioteca Sormani di via Francesco Sforza a Milano dal curatore Belpoliti offre un importante contributo nel afar emergere un Primo Levi coraggioso nel tenere gli occhi aperti, ma anche curioso di tutto, interessato a tutti gli aspetti della vita, pieno di fantasia, anche se una vena di pessimismo affiora quasi sempre. Lo raccontiamo in un ampio pezzo su Left in edicola con interventi dello stesso Belpoliti, già autore del denso saggio Levi di fronte e di profilo (Guanda), degli italianisti Gianfranco Pedullà e Andrea Cortellessa con la scrittrice anglo-indiana Jumpha Lahiri.
«Il percorso di scrittura di Primo Levi era molto variegato, laborioso e accidentato, ispirato a un’idea alta di letteratura», raccontaCortellessa, autore insieme a Marco Belpoliti e al regista Davide Ferrario de La storia di Levi (libro con dvd) pubblicato un paio di anni fa da Chiarelettere. Nonostante la sua scrittura sia limpidissima non è un autore facile. Lo ha rimarcato Cortellessa intervenendo alla tavola rotonda alla Casa delle letterature a Roma: «Ci sono ancora critici e perfino scrittori affermati in Italia per i quali Levi quasi non esiste». C’è anche e soprattutto una ragione di memoria storica e politica, secondo Belpoliti, alla base del fatto che Primo Levi non abbia ancora conquistato un posto di primo piano nel canone della letteratura italiana del Novecento.
«Primo Levi è un autore che sfugge alle classificazioni, la sua opera è ibrida, la sua identità prismatica. Anche per questo è uno degli autori più importanti della letteratura del Novecento non solo italiana», dice la scrittrice Premio Pulitzer Jhumpa Lahiri, che presentando l’Opera completa di Primo Levi (Einaudi) alla Casa delle letterature a Roma ha raccontato come lo scrittore italiano viene recepito in America e nei suoi corsi di scrittura creativa a Princeton. «Non si può insegnare a scrivere» avverte la scrittrice in Italia anche per presentare il suo nuovo libro Il vestito dei libri (Guanda). «Ma se non si può ma si può insegnare a scrivere un’opera d’arte si può, però, insegnare a leggere, a riconoscere la qualità letteraria di un testo. E i libri di Primo Levi mostrano bene la differenza fra testimonianza e creazione letteraria e come questi due diversi aspetti possano concorrere ad un testo profondo e originale». Poi parlando della “fortuna” di Primo Levi oltreoceano, dove molte delle sue opere sono state tradotte, aggiunge: «Mi colpisce molto che i miei studenti universitari non lo abbiano mai letto prima e che , spesso, non lo abbiano mai neanche sentito nominare. Ma in poco tempo scoprono nei suoi libri un autore rivoluzionario, capace di trasmettere un’esperienza fondamentale per ogni autore: scrivere è mettere in pratica una resistenza. Chi scrive lo fa per sopravvivere a qualcosa».