Era la giornata della memoria. Il 27 gennaio. Un diluvio di contrizione e retorica dappertutto: sui social, nei logori comunicati istituzionali, nella retorica politica. Il 27 gennaio si esercita la memoria a compartimenti stagni, quella tutta nylon: la memoria avulsa dalla realtà e dalla contemporaneità, in cui la politica è maestra.
Poi il 27 gennaio Donald Trump (quello che “democratici e repubblicani pari sono”, diceva qualcuno) emette il suo provvedimento di blocco all’immigrazione. Questione di sicurezza, dice: è la sicurezza che il suo misero vigliacco personaggio del forte contro i deboli continui a proliferare. Quando gli ultimi si fanno la guerra tra loro la politica può permettersi di non curarsene, del resto.
Decide di bloccare gli ingressi di sette paesi a maggioranza islamica ma si “dimentica” di Egitto, Turchia e Arabia Saudita poiché l’odore dei soldi gli fa venire l’acquolina in bocca, ovviamente, e gli amici non si toccano. Dice che è per scongiurare il pericolo “terrorismo” e così congegna un’iniziativa che permetterebbe l’ingresso a Bin Laden, per dire.
L’Europa si indigna. Anche Gentiloni (poco e timidamente, com’è suo costume). Dice che le porte devono rimanere aperte, Gentiloni, e intanto tiene chiusa la rotta libica e manda avanti Minniti nel ruolo di sceriffo. Ovviamente però Gentiloni si scorda di citare direttamente Trump poiché l’odore dei soldi (e del potere degli altri) rende tutti scodinzolatori nell’animo.
Poi succede che qualcuno applauda Trump. Normale. Salvini si toglie i doposcì e corre sul traduttore di Google per complimentarsi in inglese. I destrorsi applaudono. Una nuova internazionale. Fascista.
E poi in ultimo arrivano i complimenti di Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele, tutto contento. Dice che Trump è un grande per la costruzione del muro con il Messico e per lo stop all’immigrazione “illegale” (anche non c’entra nulla l’immigrazione illegale ma si sa che Benjamin ha le idee confusi sui diritti dei popoli.
Tutto iniziato nel giorno della memoria.
Buon lunedì.