Il candidato di sinistra alle primarie socialiste per le presidenziali francesi batte l'ex premier Valls e dà il via alla sua campagna con l'obiettivo di unire la gauche. Il racconto dell'attesa e della festa nel quartier generale di Benoît Hamon

Parigi. Alle 18.50, dieci minuti prima della chiusura dei seggi, la Maison de la Mutualité è già quasi piena. È qui che Benoît Hamon ha dato appuntamento ai suoi sostenitori e alla stampa per attendere i risultati del ballottaggio da grande favorito. L’ambiente è disteso, gli strateghi della campagna elettorale si prestano volentieri alle domande dei giornalisti, la maggior parte arrivata di corsa dal comizio di François Fillon, che ha parlato poco prima a nord della capitale francese, a Porte de la Villette. Nella vasta sala allestita al primo piano si respira aria di vittoria, in molti brindano; si riconoscono subito i cronisti, tutti con taccuino e penna in mano – gli smartphone sono riservati ai social – e i militanti, tutti sorridenti e festanti, come se Hamon avesse già vinto. Persino Alexis Bachelay, suo portavoce, si rivolge ai reporter che lo circondano dando per scontata la vittoria, ragionando sui prossimi passi da compiere: “La dinamica di Benoît viene da lontano, abbiamo cominciato la campagna in autunno e non ci credeva nessuno, vedrete che sarà lo stesso per le presidenziali”, afferma.

Alla domanda, scontata, su come farà il suo candidato a superare le divisioni della sinistra – che al momento vede in campo Emmanuel Macron e Jean Luc Mélenchon, oltre al candidato socialista – risponde che sono gli altri a dover rivolgersi ad Hamon, e non il contrario: “Non parlerei di sintesi, quanto di unione. E l’unione si fa intorno alle idee, non solo intorno alle persone: noi abbiamo una base solida, un progetto serio e approfondito. Possiamo arricchirlo ma non rinunceremo alla nostra identità e alle nostre proposte distintive”. Poi la bordata all’ex compagno di governo, il leader di En Marche!, che riempie i palazzetti e rischia di attrarre la parte dell’elettorato socialista meno entusiasta del progetto di Benoît Hamon: “Se Macron si ritiene di sinistra può parlare con noi, non abbiamo pregiudizi. Ma finora non abbiamo capito da che parte sta”.

Mentre Bachelay risponde alle nostre domande la sala continua a riempirsi di simpatizzanti, reagendo con fischi e ululati al passaggio sui maxischermi del servizio di France Info sul grande evento organizzato da François Fillon. L’età media nella sala è molto bassa, la maggior parte dei sostenitori che arrivano sono studenti o poco più e le motivazioni della loro scelta sono piuttosto simili. Melanie, vent’anni, studentessa, ci spiega che uno dei punti di forza di Hamon è stato mettere al centro il tema dell’istruzione: “Hamon ha capito il malessere degli studenti, la loro difficoltà a sostenersi durante gli studi e a trovare lavoro subito dopo. Il reddito universale serve anche a questo, a consentirci di studiare senza pressioni”. Poco più in là due ragazzi e una ragazza, tra i venticinque e i trent’anni, bevono un bicchiere di vino e raccontano entusiasti della loro prima campagna elettorale da protagonisti: “Abbiamo sempre seguito la politica, ma non c’eravamo mai messi in gioco. Quello che ci ha colpito in Hamon è stata la sua capacità di mettere in primo piano le sue idee e il suo progetto, piuttosto che la sua personalità”.

Ciò che ha attirato così tanti giovani è stata la sensazione che Hamon avesse un movimento molto radicato dietro di sé, che fosse alla testa di un progetto partecipato: “No, non scrivere dietro” mi corregge Jean, il più “politico” dei tre, “scrivi intorno. Il movimento di Hamon è orizzontale, partecipativo: è stato costruito insieme a noi, grazie a noi. Lui è solo la punta dell’iceberg”. Provo ad avanzare dubbi sulla realizzabilità della più controversa delle proposte, un reddito universale di esistenza di 750 euro al mese a tutti i cittadini, che costerebbe più di 350 miliardi di euro, ma i ragazzi non vogliono sentire ragioni: “Bisogna finirla con questo mantra della crescita a tutti i costi. Ça marche pas, non funziona. Il punto non è se il reddito universale sia realizzabile o meno, il punto è che questa proposta ci consegna finalmente un orizzonte, una speranza”, afferma Lisa. Questa frase è ricorrente, quasi tutte le persone con cui parlo delle fatidiche “coperture” mi rispondono allo stesso modo: “In questi cinque anni abbiamo smesso di sognare, Hamon rappresenta la riconciliazione con le nostre idee. Il punto non è se le sue proposte sono realizzabili o meno: sinistra vuol dire anche utopia, avere il coraggio di proporre un cambiamento radicale”, argomenta Clotilde.

Intanto alle 20.45 vengono annunciati i risultati, con più della metà dei seggi scrutinati Hamon è in testa con il 58%: una vittoria chiara, netta. La sala esplode, parte la musica, in molti si abbracciano, qualcuno balla. Nella baraonda generale riesco a scambiare due parole con Richard, uno dei ragazzi dell’organizzazione: “Molti analisti hanno scritto che questo è stato un voto contro la presidenza di Hollande, ma è un’analisi incompleta. Se è vero che in giro c’è tanta voglia di voltare pagina, di “tornare ai fondamentali”, è per il nostro futuro che abbiamo sostenuto e votato Benoît. Abbiamo sposato il progetto, la sua sensibilità ai temi dell’ecologia, di cui non parla nessuno. Così come abbiamo imposto il tema del reddito universale, imporremo anche quello della transizione ecologica”.

Mentre parliamo arriva, finalmente, Benoît Hamon che, visibilmente emozionato, si fa strada tra le telecamere e raggiunge il palco. Parla sette minuti, ringrazia Valls e si dice onorato di rappresentare il suo partito alle presidenziali dopo François Mitterrand, Lionel Jospin, Ségolène Royal e François Hollande. Parla di unità, dei grandi sforzi che farà per dialogare con i membri del suo partito e con chi si riconosce nella sinistra, specialmente Jean Luc Mélenchon, leader della sinistra radicale e Yannick Jadot, leader dei verdi; nessun pensiero per Emmanuel Macron, mai citato. 

Infine, un messaggio ai giovani, alla generazione nata tra gli anni ’80 e ’90 che ha avuto un ruolo fondamentale nella costruzione del suo progetto e della sua vittoria: “Ogni generazione, diceva Tocqueville, è un popolo nuovo. Voglio dirlo a voi che vi siete impegnati in queste primarie al di là di tutti i pronostici: sta a voi decidere che popolo volete essere e in quale Francia volete vivere e crescere, fare dei figli. Sono convinto che la vostra energia, la vostra creatività e la vostra solidarietà mostreranno la strada a tutti i francesi”. Poi, assediato dai microfoni riesce a lasciare la Mutualité per raggiungere rue Solférino, sede del Partito socialista, dove stringerà la mano al suo avversario, Manuel Valls. Ha inizio la prima delle tante sfide che lo attenderanno nei prossimi mesi: riunire la gauche. Vaste programme.

 

L’autore dell’articolo cura una newsletter sulle presidenziali francesi che si può leggere qui