Il grillino Massimo Bugani, fedelissimo della Casaleggio, a La7 dichiara: senza premio di maggioranza i 5 stelle dovranno chiedere a qualcuno di votargli la fiducia. Ottimo: la maturazione continua. Peccato solo per le occasioni perse

L’aveva già detto Massimo Bugani che il Movimento 5 stelle, per governare, se mai sarà primo partito alle prossime elezioni (che, per stare sulla notizia di giornata, sono allontanate da Giorgio Napolitano, che ha così messo a verbale uno stop alle tentazioni renziane) dovrà fare qualche alleanza. O meglio, ha detto – e oggi l’ha spiegato meglio a L’aria che tira, su La7 – che il Movimento 5 stelle per far nascere un suo governo, qualora dovesse ricevere un incarico dal Colle, dovrà trovare qualcuno che voti la fiducia, su «una serie di punti precisi».

Non vuole che si parli di alleanze, Bugani – sia mai! – e anzi ringrazia Myrta Merlino per la domanda: «Così posso chiarire», dice. Ma alla fine di quello parla. Un po’ come hanno scritto molti retroscenisti – guadagnandosi, come Tommaso Ciriaco di Repubblica, una smentita dal blog di Beppe Grillo – che indicano nella Lega il primo possibile interlocutore, non fosse altro per il profilo protezionista e antieuro.

Dice Bugani: «Con una legge proporzionale, non con l’Italicum, il M5s deve con trasparenza dire oggi che se vuole governare, qualora fossimo la prima forza politica, si dovranno indicare dei punti chiave e vedere però chi è disposto a darci la fiducia. Non parlo di alleanza, ma se noi vogliamo governare qualcuno che ci dà la fiducia ci deve essere».

Ma chi è Bugani? Ignoto a chi non è addentro alle questioni pentastellate, nel Movimento non è uno qualunque. Di lui su Left abbiamo scritto più volte. Non è un peones ma uno dei principali uomini di Casaleggio, consigliere comunale a Bologna e fra i gestori dell’associazione Rousseau, quella che governa la piattaforma web dei 5 stelle. La sua non è la posizione ufficiale del Movimento, ovviamente, ma poco ci manca, visto che come sappiamo non si può parlare senza l’autorizzazione dello staff della Comunicazione. E soprattutto, svela un ragionamento peraltro assai ragionevole. È la politica, d’altronde, che funziona così: quella che il Movimento sta imparando a conoscere passo passo, crescendo lentamente, un po’ come è capitato sul mito delle dimissioni al primo avviso di garanzia: se governi anche solo un condominio il principio è quantomeno suicida oltre che costituzionalmente scorretto.

Le parole di Bugani dunque, oltre a testimoniare ancora una volta il percorso evolutivo del Movimento – che ancora ci riserverà sorprese – fa venire un po’ di curiosità. Perché se quello che pensa Bugani diventerà la linea – magari nella rodata formula di un governo di minoranza o, come precedente nostrano, della “non sfiducia” – logica vorrebbe che il principio valesse anche per governi altrui, per esecutivi non proprio 5 stelle. E la mente non potrà così che andare al 2013. Al celeberrimo streaming con Pier Luigi Bersani.

Se i 5 stelle fossero stati meno politicamente analfabeti, meno chiusi nei loro slogan, Lombardi o Crimi avrebbero potuto proporre qualcosa a Bersani, un nome alternativo, una squadra a cui dare chessò un anno o due di vita? Chi ci sarebbe oggi a palazzo Chigi? Ma soprattutto: avremmo tutti questi voucher, il jobs act, la buona scuola, eccetera eccetera? Ah, vivere di rimpianti.

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.