Un nuovo rapporto di Transparency Interntaional (Ti) Europe porta alla luce i numeri del lobbying di Bruxelles legati al Parlamento europeo e alla Commissione europea. Ti Europe ha analizzato le carriere di 485 eurodeputati e 27 Commissari che hanno lasciato le istituzioni nel 2014, anno in cui si sono tenute le ultime elezioni europee. Inoltre, il rapporto indaga anche i percorsi professionali di 134 lobbysti .
Le conclusioni del rapporto indicano che per molti dei casi analizzati, «non può essere escluso che le attività lavorative odierne siano esenti da un conflitto di interesse». In particolare, un terzo degli eurodeputati presi sotto esame, sono oggi assunti o affiliati a organizzazioni iscritte nel registro delle lobby di Bruxelles. Mentre il 20 per cento dei profili di lobbysti osservati è caratterizzato da trascorsi nelle istituzioni europee.
Ti Europe afferma che, per quanto riguarda gli eurodeputati, in 26 casi ha verificato l’assunzione pressoché immediata (entro 2 anni dalla fine della legislatura) di questi ultimi da parte di società di lobbying che si occupano di Unione europea.
Ma chi assume gli ex-politici? Secondo Ti Europe, aziende e associazioni industriali sono contraddistinte da un più alto numero di casi in cui si verifica il fenomeno delle così dette “revolving doors” (“porte girevoli”, tdr.), rispetto ad altri tipi di organizzazioni (per esempio, organizzazioni non-governative). Una menzione particolare va a Google. La multinazionale si accaparra il primo posto fra i lobbysti a Bruxelles. Negli ultimi due anni Google avrebbe incontrato lo staff dei Commissari europei (se non i Commissari stessi) ben 124 volte: in media, più di una volta a settimana. Per l’azienda americana sono stati registrati 115 casi di porte girevoli, solo a Bruxelles. L’ufficio di Bruxelles fattura più di 4 milioni di euro l’anno e dei 7 “lobbysti Google” accreditati al Parlamento europeo, 4 erano occupati proprio nell’istituzione comunitaria in precedenza. Nel complesso Google ha assunto 23 persone provenienti dalle istituzioni europee.
E per quanto riguarda il “riciclo” dello staff della Commissione europea? Secondo Ti Europe, un terzo degli ex-Commissari oggi lavora nel settore privato. Tra le aziende menzionate come principali datori di lavoro: Uber, ArcelorMittal, Goldman Sachs, Volkswagen e Bank of Maerica Merrill Lynch.
Ti Europe ha anche buttato un occhio alle misure “deterrenti”, attualmente in vigore presso il Parlamento e la Commissione.
Per quanto riguarda il Parlamento europeo, sono «del tutto assenti regole che disciplinino la fase di post-impiego». Per la Commissione europea esiste invece un periodo di “congelamento” (con questo termine si indica il lasso di tempo durante il quale, gli ex-dipendenti delle istituzioni non sono autorizzati ad assumere incarichi nel settore privato o non-governativo, ndr.) pari a 18 mesi. Ma la debolezza degli strumenti previsti per la supervisione delle attività degli ex-dipendenti, nonché le scarse risorse a disposizione per il monitoraggio, «destano preoccupazione». Nel caso della Commissione poi, è lo stesso Collegio dei Commissari a valutare i casi di infrazione. Inutile dire che questo meccanismo di controllo desti qualche perplessità. Come spiega Ti Europe, «le infrazioni di carattere etico vengono valutate dai Commissari in carica. In molti casi si tratta di colleghi di lunga data degli “indagati”. Inoltre, «nell’elaborare il loro giudizio, i Commissari prenderanno in considerazione il fatto che, un giorno, potrebbero essere loro stessi a trovarsi dall’altra parte». Secondo Ti Europe l’incentivo a non creare precedenti di valutazioni «negative» è quindi molto forte. Come dire: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.
Il rapporto completo può essere scaricato dal sito di Transparency International.
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