Il gruppo parlamentare ai Comuni si divide sull'articolo 50 che fa scattare il processo di Brexit. Corbyn aveva dato mandato di votare per il Sì, 47 hanno votato contro

Il conflitto interno al partito laburista britannico non si assopisce. Anzi, in un contesto politico in cui tutto ruota intorno alla Brexit, la leadership di Jeremy Corbyn continua a essere appesa a un filo. E la settimana appena passata non ha certo aiutato il politico originario di Chippenham.

La svolta riguardo alla Brexit, è arrivata mercoledì, quando Westminster ha approvato, con una maggioranza solida, l’attivazione dell’articolo 50, la clausola del Trattato di Lisbona che disciplina l’uscita di uno stato membro dall’Unione europea (Ue).

498 voti a favore e 114 contrari: una sentenza indiscutibile appunto. Ma tra i 114 contrari ci sono ben 47 deputati laburisti. Certo, la principale forza politica a opporsi contro l’articolo 50 è stato il partito nazionalista scozzese (Snp), ma, a prescindere dalla direzione di voto, quest’ultimo si è mosso in maniera ordinata. La linea ufficiale del Labour era infatti quella di votare a favore dell’articolo 50.

Corbyn è quindi alle prese con l’ennesimo scontro interno al partito. Un’analisi del voto parlamentare a cura di Ashley Kirk per il Telegraph sottolinea che ben 17 dei così detti “frontbencher” (un termine che indica i deputati delle prime file dell’aula parlamentare – di solito si tratta, nel caso dell’opposizione, dei ministri ombra e dei leader più importanti) hanno apertamente sfidato la linea dettata da Corbyn. All’interno del Labour, la maggior parte di coloro che si è rifiutata di votare contro l’articolo 50, lo ha fatto giustificandosi sulla base delle proporzioni di voto tra “remainers” e “leavers” nelle rispettive circoscrizioni elettorali, in occasione del referendum del giugno scorso. Eppure, c’è qualche eccezione: Corbyn, per esempio, il quale, a fronte di una maggioranza schiacciante (76,5 per cento) per il “remain” nella propria circoscrizione, ha dettato la linea dell’attivazione dell’articolo 50.

Nel partito laburista, circa un quinto dei deputati ha votato contro la linea della leadership. Dei 17 “frontbencher”, ben 4 erano ministri ombra: Rachael Maskell, Dawn Butler, Tulip Saddiq e Jo Stevens. Tutti e quattro hanno consegnato le dimissioni. Diane Abott, ministro ombra alla salute, non si è presentata durante le votazioni per “un’improvvisa emicrania” diventando così bersaglio delle critiche di John Mann (Labour), il quale ha definito Abott niente meno che «una codarda». Senza contare che, tra i disertori della linea di partito, c’è anche Owen Smith, ex-contendente alla leadership del partito nel 2016. In una parola: caos. Basti pensare che, tra i Tories, un solo deputato si è ribellato alla linea del partito.

Cosa accadrà nei prossimi giorni? Sebbene mercoledì il Parlamento abbia approvato l’articolo 50, settimana prossima ci sarà un’ulteriore lettura del testo – successivamente la legge dovrà passare anche per la Camera dei Lord. Nel frattempo, c’è spazio per gli emendamenti. E il Labour spingerà per modifiche significative al testo. L’obiettivo è quello di garantire che l’approvazione dell’articolo 50 non si trasformi in un via libera per il governo a trasformare il Regno Unito in una sorta di paradiso fiscale caratterizzato da tassazione e regolamentazioni sul lavoro inesistenti. Il problema è che Corbyn deve convincere i moderati del partito conservatore – una componente essenziale per far approvare le modifiche– ad appoggiare una “Brexit” meno dura di quella prevista dal Governo.

A detta di molti analisti, il tentativo appare disperato. E il dramma non finisce qui. Se il testo dell’articolo 50 dovesse rimanere lo stesso, è probabile che i numeri della ribellione interna al Labour aumenterebbero. Molti deputati laburisti hanno infatti votato a favore mercoledì, ma non hanno garantito un simile comportamento nel voto finale. Nel frattempo, Jeremy Corbyn, provvederà al terzo rimpasto di governo ombra in 18 mesi.

Intanto, giovedì 2 febbraio, il governo del Regno Unito ha pubblicato il Libro bianco sulla Brexit, un documento di 77 pagine che ha l’ambizione di rappresentare gli obiettivi e la strategia del Paese per le negoziazioni con l’Unione europea (Ue). Eppure, secondo la maggior parte degli analisti, il testo rappresenta un buco nell’acqua, visto che contiene pochi dettagli in più rispetto a quanto già affermato da Theresa May sul tema, qualche settimana fa. Ma in una situazione in cui il Labour, il principale partito di opposizione, sembra un giostra di autoscontro, i Tory hanno vita facile e si possono permettere di pubblicare qualsiasi cosa.

All’interno del Libro bianco, nel primo capitolo – “Provvedere certezza e chiarezza” – Downing Street conferma che, a fine negoziazioni, il Parlamento avrà l’ultima parola sull’accordo raggiunto con l’Unione europea. Si accettano scommesse se, a quel punto, ci sarà ancora Jeremy Corbyn a dettare la linea del Labour.