La vicenda è disarmante in ogni caso. Perché o Raggi ha mentito o ancora una volta ha scelto un collaboratore sbagliato. Ma il problema non è della sola sindaca. Il problema è di tutto il Movimento, che dovrà farsi alcune domande

La vicenda è disarmante in ogni caso. Fosse vero che Raggi non sapeva niente della polizza sarebbe dimostrata ancora una volta, dopo il caso Marra, un’allarmante incapacità di scegliere i collaboratori, avendo dato le chiavi della propria segreteria a un assicuratore seriale dotato di così scarsa cultura istituzionale da non porsi neanche il problema dell’opportunità di certi investimenti.

Se invece quello di Romeo è un gesto che nasconde una relazione affettiva (l’aveva già fatto con una precedente fidanzata), grave è averlo promosso, tripicandogli lo stipendio, senza almeno render pubblico il legame, evidentemente più profondo della sola comune militanza.

Infine: se invece Raggi sapeva, ha acconsentito, taciuto e poi promosso (ringraziato), beh, non ci sarebbe chiarimento possibile – posto che un chiarimento sia possibile – e chiedendo le dimissioni del proprio sindaco, il Movimento dovrebbe aprire una seria riflessione sulla selezione della propria classe dirigente.

Sulla classe dirigente, sì, e non solo sui candidati, sugli eletti: perché i partiti (o movimenti, come vi pare!) sono organizzazioni che richiedono esperienze professionali, dirigenti interni per il loro funzionamento e dirigenti interni o di area per affrontare le diverse sfide amministrative o istituzionali. E se di gente strana (a volte simpaticamente strana), di ignoranti, di complottisti, di mitomani o anche di furbacchioni o disonesti – vedremo cos’è Romeo – ce ne è in tutti i partiti, se i tuoi finiscono così spesso ai vertici il problema non è solo di Virginia Raggi. Il problema è anche di Roberta Lombardi, per capirci, che denuncia da mesi il “raggio magico”; il problema è anche di quelli che – son sicuro – saranno prontissimi a scaricare Raggi per salvare il Movimento, quando e se sarà impossibile fare altrimenti.
Troppo facile.

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.