Mentre ad Astana proseguono le trattative condotte da Mosca e Ankara, la denuncia di Amnesty International parla di torture, violenze e 13mila uccisi senza processo nell'arco di quattro anni nel carcere speciale di Assad

Dopo la presa di Aleppo da parte delle truppe siriane sostenute da Russia e Iran, la Siria sembra scomparsa dai radar. Se non per parlare della guerra all’Isis. Ci sono stati colloqui ad Astana che hanno fissato un cessate il fuoco tra le parti, ma la tregua viene violata di continuo, protestano quasi tutte le parti coinvolte. In questi giorni si svolgono colloqui tecnici tra Iran, Russia, Turchia e Siria per capire come verificare la tenuta della cessazione delle ostilità – la Turchia è il garante dei ribelli e gli scambi diplomatici tra Russia e Turchia si intensificano: la settimana prossima il ministro degli Esteri turco sarà a Mosca.

I rapporti tra Mosca e la Washington di Trump prendono una strada tortuosa: i due si difendono costantemente. l’ultima è stata la difesa del presidente Usa durante un’intervista con Bill O’Reilly, che alla domanda “Ma Putin è un killer?”, ha risposto “neppure noi siamo poi così buoni”. Risposta corretta se si parla di Cile o Argentina o Iraq. Ma data così, da un presidente che ritiene la tortura uno strumento efficace, l’argomento non sembra essere quello dei diritti umani. Sembra che il prossimo ambasciatore russo a Washington sarà il vice ministro degli Esteri Anatoly Antonov, faccia russa della guerra in Siria e figura soggetta a sanzioni personali da parte degli Stati Uniti. Una scelta fatta all’epoca in cui a Mosca prevedevano avrebbe vinto Clinton, ottima per costruire una cooperazione militare contro il terrorismo – che è il punto di incontro tra l’amministrazione Trump e il presidente Putin. Consolidare la cooperazione non sarà così facile: sull’Iran le posizioni sono diverse, e la cosa significa problemi in Yemen e anche in Siria.

Un rendering della prigione di Saydnaya (Amnesty International)

Già, è in Siria che combina Assad? Un’idea possiamo farcela leggendo il nuovo rapporto di Amnesty International sulle impiccagioni di massa e le esecuzioni extragiudiziali nella prigione Saydnaya. Tra il 2011 e il 2015, ogni settimana gruppi di persone, fino a 50, sono state portate fuori dalle loro e impiccate. In cinque anni sarebbero ben 13mila, la maggior parte dei quali oppositori civili del regime di Assad.

Nella stessa prigione i detenuti erano tenuti in condizioni disumane, venivano torturati e deprivati di cibo, acqua, medicine e cure mediche. Ci sono molti elementi che fanno ritenere i ricercatori di Amnesty che le pratiche descritte nel rapporto siano ancora moneta corrente nelle carceri di Assad. I detenuti non vengono sottoposti a processo ma a una rapida messa in scena, che dura pochi minuti e si svolge in un campo da tennis. Di solito le persone rinchiuse a Saydnaya sono vittime di sparizioni forzate, spesso firmano confessioni sotto tortura, non hanno diritto ad avvocati e non sanno che saranno uccisi fino a quando non vengono portati al patibolo.


Due detenuti nel carcere di Saydnaya, prima e dopo la detenzione

 

«Gli orrori rappresentati in questo rapporto rivelano una pratica mostruosa, autorizzata ai più alti livelli del governo siriano, una vocazione a reprimere brutalmente ogni forma di dissenso», ha dichiarato Lynn Maalouf, Vice Direttore presso l’ufficio regionale di Amnesty International a Beirut. «Chiediamo alle autorità siriane di cessare immediatamente le esecuzioni extragiudiziali e le torture. Russia e Iran, gli alleati più stretti del governo siriano, dovrebbero fare pressione affinché si metta fine a queste pratiche». Amnesty chiede un’inchiesta Onu che verifichi la violazione del diritto internazionale e prefiguri il reato di crimine di guerra.

Il rapporto si basa su un’indagine di un anno, con interviste di prima mano a 84 testimoni, comprese guardie a Saydnaya, personale delle ferrovie, funzionari, detenuti, giudici e avvocati, oltre che esperti nazionali e internazionali in materia di detenzione in Siria.

Il mattatoio umano: l’animazione di Amnesty che racconta gli orrori di Saydnaya