Berdini ha smentito il colloquio pubblicato da La Stampa (non risparmiando insulti al giornalista, che avrebbe origliato una conversazione privata e gli avrebbe attribuito parole non sue). Ma del "raggio magico", in effetti, parla male da sempre. Ecco cosa dice e perché però (finora) non ha mai pensato alle dimissioni

«Smentisco di aver mai conosciuto questo ragazzo, che si è avvicinato a un gruppo di amici che, come succede a tutti noi, parlano delle loro cose». E quindi parlano liberamente. Così Paolo Berdini, assessore all’Urbanistica del comune di Roma, smentisce il colloquio pubblicato invece da La Stampa e subito finito in cima a tutte le rassegne stampa, in apertura di tutti i siti. «Questo mascalzone», dice, «ha registrato un colloquio che ovviamente è privato. La Stampa non ha fatto alcuna intervista: io d’altronde sono mesi che non ne faccio». «Mascalzone», «piccolo delinquente», «disgraziato». Berdini non nasconde la rabbia e, anche se poi parla di «una professione meravigliosa», non risparmia gli insulti al cronista, il collega Federico Capurso, che però sarebbe colpevole solo di aver lasciato intendere che le frasi di Berdini gli fossero state concesse per la pubblicazione, quando invece si tratterebbe di una conversazione origliata, di cui certo si potevano rendere noti i contenuti, indiscutibilmente rilevanti, rendendoli però nel loro contesto originale.

La Stampa ha confermato i virgolettati con questa nota: «Questa mattina», scrive il giornale, «l’assessore del Comune di Roma Paolo Berdini ha smentito di aver rilasciato delle dichiarazioni al nostro giornale sulla giunta di Virginia Raggi. La Stampa conferma parola per parola il colloquio con l’assessore Berdini pubblicato nell’edizione odierna a firma del giornalista Federico Capurso. Se umanamente si può comprendere l’imbarazzo dell’assessore, questo comunque non giustifica in alcun modo gli inaccettabili giudizi che Berdini ha pronunciato sul collega per cercare di smentire quanto riferito».

Origliato o no, certo è che quando Berdini dice della giunta Raggi è rilevante. Un giudizio che Berdini conferma, peraltro, nella smentita, pur aggiustando il tiro. E se questo è quello che scrive Capurso: «Intorno a lei una banda, una corte dei miracoli. È stato fatto un errore dopo l’altro. I grand commis dello Stato, che devo frequentare per dovere, lo vedono che è impreparata. Ma impreparata strutturalmente, non per gli anni. Se vai, per dirne una, a un tavolo pubblico dici che sei sindaco di Roma spiazzi tutti. Lei invece…». Berdini ai microfoni di Rainews24 spiega meglio: «Sono cose che ho già detto. L’impreparazione di cui parlo è però di tutti noi assessori, di tutta la macchina. Anche mia, perché anche io, che come voi sapete conosco molto bene la mia città, non sapevo, non immaginavo il baratro che invece ho trovato. Il fatto che io abbia detto a tre miei amici che la giunta Raggi è impreparata lo posso confermare, ma perché questa città è messa in ginocchio e io, come tutti i miei colleghi di giunta, non pensavo fossimo arrivati a questo punto del baratro».

La verità, probabilmente, è nel mezzo. Chi conosce Berdini e più volte ci ha parlato sa che l’assessore ha un giudizio molto severo sui primi mesi della giunta Raggi. Pubblicamente, Berdini, ha peraltro chiesto un passo indietro di Marra e Romeo ben prima che arrivassero l’arresto del primo e le polizze del secondo. Berdini si è sempre detto incredulo, tra mille sospiri, come infatti scrive il cronista de La Stampa, rispetto alla scelta di Raggi di farsi blindare da un mondo così vicino alla destra romana, ha sempre anche cercato una ragione che non fosse solo politica (oggi La Stampa gli attribuisce dubbi su una relazione tra Romeo e Raggi: lui però smentisce quel passaggio), e si è sempre lamentato della «banda» che circonda la sindaca, come d’altronde fanno rappresentati anche ufficiali del Movimento – a cui Berdini non è iscritto.

Non dice, Berdini, cose così diverse, per dire, da quelle che dice Roberta Lombardi, deputata 5 stelle. Però Berdini pensa che l’amministrazione Raggi possa ancora ingranare. E, soprattutto, si accontenta di poter fare il suo, di poter lavorare sullo scandalo dei piani di zona, ad esempio, una delle più grandi speculazioni della Capitale, fatta sulla pelle di migliaia di famiglie che avevano diritto a comprare immobili di nuova costruzione a prezzi calmierati e che invece sono state truffate e oggi rischiano lo sfratto.

Anche se la visione è stata spesso diversa da quella della sindaca, Berdini non si è mai lamentato. «Io ho detto la mia poi la sindaca ha deciso diversamente ma è giusto così: l’ultima parola è la sua», diceva ad esempio, vantandosi di non aver ricevuto alcuna consegna del silenzio, quando Raggi ha detto No alla candidatura olimpica, mentre lui proponeva di rivedere il progetto puntando sui tram e sulla riqualificazione di impianti sportivi già esistenti, per non rinunciare ai molti fondi. Anche sullo Stadio, Berdini è su una posizione più contraria di quella della sindaca, tentata invece dal dare ragione ai tifosi della Roma. Berdini anche lì ha dovuto registrare la sostanziale volontà di fare lo stadio e oggi si dice convinto però che il suo lavoro sarà almeno servito a strappare un taglio di cubature, di quelle non direttamente collegate allo stadio e che sono però il vero interesse dei costruttori, rispetto a un progetto su cui la giunta Marino ha già comunque impegnato il Comune.

Per questo Berdini ha sempre detto di non voler lasciare. E lo dice anche questa mattina («Stai parlando con un cretino», dice a noi, «ho sbagliato, non mi sono accorto e così le cose sono uscite ingigantite rispetto a quello che ho sempre detto») quando le opposizioni, invece, gli chiedono di esser conseguente e dimettersi e quando i più vedono nell’uscita su La Stampa l’assist perfetto per farsi allontanare e non mettere la sua firma sul progetto dello stadio. Per la giunta Raggi però sarebbe l’ennesimo addio, peraltro di un assessore che “copre” a sinistra, con Luca Bergamo, assessore alla Cultura, una giunta altrimenti schiacciata a destra dall’ombra di Marra.

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.