Trump si scaglia contro i trattati commerciali assieme alla destra sovranista europea di Salvini e Le Pen. Eppure, negli anni Novanta e Duemila erano i movimenti a protestare contro i trattati. La verità è che gli zapatisti e i no global parlavano di cose diverse. Cosa c'è nel primo piano di Left in edicola

Nel 1994, in Chiapas, il movimento zapatista insorse contro l’entrata in vigore del Nafta. Nel 2000 fu la volta di Seattle e della rivolta globale contro il Wto e la globalizzazione. Quella proseguita a Genova nel 2001 e negli anni a venire, quando ogni vertice globale veniva accolto da proteste. Che si trattasse di un Paese del Sud o di una capitale europea.

Gran salto in avanti: novembre 2016, una delle cose che consente la vittoria di Donald Trump è la promessa di gettare alle ortiche gli accordi commerciali esistenti, negoziarne di nuovi e vantaggiosi per gli Stati Uniti, imporre dazi alle merci importate, tornare a mettere «Prima l’America». Ora,«America first» è uno slogan che viene dritto dritto dal sovranismo isolazionista incarnato dal comitato che portava lo stesso nome e guidato da Charles Lindbergh negli anni che precedettero l’ingresso degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale – Freghiamocene degli inglesi, che hanno perso la guerra, sono gli ebrei che spingono e manipolano i media per portarci in una guerra non nostra”, era per sommi capi il discorso.

Ma qui – e soprattutto su Left in edicola – non parliamo della pericolosità di Donald Trump, quanto piuttosto di una specie di rivoluzione, quella che ha reso la globalizzazione il nemico numero uno della destra sovranista occidentale – e anche di un po’ di sinistra. Cosa è successo? Che dieci anni di crisi, i contorcimenti dell’Europa e chissà quanti altri fattori hanno cambiato il modo di guardare alle cose. Nei primi anni Duemila, infatti ciò che si contestava era la globalizzazione così come queste prendeva forma, i trattati scritti in segreto, penalizzanti per le società che li subivano e ottimi per favorire le multinazionali che li dettavano. Un discorso simile fatto da una parte degli oppositori del TTP, del TTIP e del CETA in questi mesi. Un discorso diverso da quello di chi afferma America o Francia o Italia first – che non a caso dice anche: fuori gli stranieri.

Tra le altre cose, 25 anni di globalizzazione e uno sviluppo tecnologico prodigioso hanno reso il mondo più interconnesso e piccolo che mai. A partire dal clima e dai passi necessari per frenarne il cambiamento, passando per la produzione di merci o per le grandi migrazioni. Affrontare più e meglio ciascun grande tema, fare in modo che gli scambi tra Paesi siano più razionali – nel senso del consumo di energia, dello spreco, della tutela dei diritti – ed equi in termini di distribuzione die benefici sarebbe dunque forse il tema.

Ma a che punto è la globalizzazione? Servono davvero i dazi? Cosa succederebbe a Italia ed Europa se si ricominciasse a imporre tariffe in entrata? E perché la leadership cinese è tanto affezionata alla globalizzazione come la conosciamo?

Su Left n. 6,  2017 in edicola dall’11 febbraio parliamo di tutto questo così:

Protezionisti di tutto il mondo… Dagli Usa all’Europa tornano il protezionismo e il sogno improbabile di chiudere  le frontiere. Ma solo in entrata. Il primo effetto della retorica trumpiana è l’ipotesi  di un’Europa a due velocità. Eppure il surplus tedesco non colpisce gli americani di Roberta Carlini

«Le fabbriche non tornano chiudendo le frontiere». L’amministrazione Trump promette il ritorno del lavoro industriale grazie ai dazi e all’abbandono dei trattati. «Sbaglia: non è la globalizzazione il problema ma il dollaro forte. E i benefici non sono arrivati a chi lavora». Parla l’economista Jared Bernstein, già capo economista del vicepresidente Usa Joe Biden e capo della task force per per la middle class voluta dall’amministrazione Obama di Martino Mazzonis

Libero scambio, a difenderlo resta Pechino. Da quando ha scommesso sulla globalizzazione, il Partito comunista cinese deve continuamente riadattare la propria strategia di sviluppo e assecondare i bisogni della classe media. Così garantisce benessere in cambio della certezza di restare al comando di Andrea Pira

Un’Unione a differenti velocità? Il rischio è la disgregazione. Tra crisi e populismi molti vedono  con favore la proposta di Angela Merkel  di Andrea Ventura

Del rifiuto della globalizzazione parliamo su Left in edicola

 

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