Cresce il mercato delle obbligazioni green, che raccolgono capitali per finanziare iniziative “sostenibili”. Ma mancano regole certe e uguali per tutti. Così crescono anche gli appetiti di chi le utilizza per speculare. Inquinando

In una fase in cui le attività tradizionali dell’alta finanza non rendono più come una volta, la finanza verde offre il duplice vantaggio di una crescita rapida e costante e di un’immagine positiva, che fa bene alla reputazione. Per questo grandi banche, compagnie assicurative, agenzie di rating, trader e fondi d’investimento hanno subito preso posizione al tavolo, attratti da previsioni come quella dell’Agenzia internazionale dell’energia, secondo cui da qui al 2035 la sola transizione energetica muoverà investimenti per circa 50mila miliardi di dollari.

I regolatori, però, sono stati molto meno reattivi, sia a livello globale sia su scala nazionale. I ritmi di crescita a due cifre e l’incremento degli attori in gioco non sono finora stati sufficienti a convincere governi e istituzioni finanziarie del bisogno di stabilire norme e vincoli condivisi per il settore. E questo spiana la strada alle regole fai da te e ai progetti che sotto il manto “green” nascondono impatti ambientali e sociali pesanti, e immancabilmente, speculazione.

Ammontano a circa 42 miliardi di dollari le obbligazioni “sostenibili” messe sul mercato nel 2015, ovvero il 272% in più rispetto al 2014. Poi 93,4 miliardi nel 2016 e un nuovo raddoppio fino a 200 miliardi nel 2017, secondo le stime di Moody’s. Un giro d’affari globale stimato in quasi 695 miliardi di dollari.

L’inchiesta integrale sui green bond, la potete leggere sul numero di Left in edicola.

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