Dice Renzi che la data del congresso non la decide lui ma la direzione e l'assemblea. È la sua mano tesa. Con cui però schiaffeggia ancora la minoranza. La cui linea, in effetti, si presta. «lo chiedevano loro il congresso subito»

«Michele è così, gli voglio bene anche per questo. Dieci giorni fa minacciava le carte bollate per fare il congresso, adesso chiede di rinviare. Però è simpatico». Michele è ovviamente Michele Emiliano. E a parlare è Matteo Renzi, con l’intervista che dovrebbe esser il passo richiesto dalla minoranza, la mano tesa che sostituisca «le dita negli occhi» che finora dice di aver esclusivamente visto Bersani.

Ma Matteo Renzi è sempre Matteo Renzi e quindi la mano tesa dà anche qualche schiaffetto (sempre con «affetto» e «un sorriso», renzianamente, si intende). «Stiamo facendo il congresso perché l’hanno chiesto loro» dice infatti Renzi al Corriere: «Io voglio evitare qualsiasi scissione. Se la minoranza mi dice: o congresso o scissione, io dico congresso. Ma se dopo che ho detto congresso loro dicono “comunque scissione”, il dubbio è che si voglia comunque rompere. Che tutto sia un pretesto».

E dunque: «Toglieremo tutti i pretesti, tutti gli alibi. Vogliono una fase programmatica durante il congresso? Bene. Ci stiamo. Martina, Fassino, Zingaretti, hanno lanciato proposte concrete. Vanno bene», continua Renzi, che però poi frena su un congresso troppo in là. Sempre, beninteso, perché lui vuole sostenere al meglio il governo: non è come sembra, che lui non vuole perder troppo tempo per non veder allontanarsi sempre più un ritorno a palazzo Chigi. Ma dirlo è l’occasione per un’altra stoccata. «Diamo tutti una mano all’Italia, diamo tutti una mano al governo. Gentiloni merita il nostro sostegno sempre, non “provvedimento per provvedimento” come sosteneva qualcuno fino a qualche giorno fa», dice, alludendo alle prime ore di vita del governo, quando Bersani in effetti quello diceva, mentre oggi chiede che si decida, prima di affrontare congresso e primarie, che il governo durerà fino alla scadenza naturale della legislatura. Incurante così, Bersani, di alimentare i dubbi di chi vede nella richiesta di rinvio il tentativo di rosolare Renzi, altrimenti imbattibile, spingere pezzi della maggioranza ad abbandonarlo e renderlo almeno un leader più incline alla concertazione (ricordandogli che Veltroni quando si dimise da segretario non si ricandidò).

Perché sono veramente convinti, Bersani, Emiliano, Rossi e Speranza, che il Pd sia altro rispetto al modello maggioritario e leaderistico di Renzi. Che questo non sia il compimento del modello del partito-primaria. Tant’è che in caso di scissione, portandosi appresso anche pezzi moderati, quello rifarebbero: non una cosa rossa ma un original Pd, un movimento ulivista che tenga tutto dentro, salvo Renzi.

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.