L’intervista che vi riproponiamo, comparsa sul n. 41 di Left, del 24 ottobre 2015, è una delle ultime che il direttore, Ilaria Bonaccorsi, ha fatto a Massimo Fagioli, scomparso lunedì 13 febbraio.
Domani 18 febbraio il saluto alle ore 10 in via Roma Libera 23, luogo in cui dal 1980 si tenevano i seminari di Analisi collettiva.
L’appuntamento è per venerdì 30 ottobre (e poi di nuovo il 6 novembre), il luogo è l’aula magna dell’Università La Sapienza di Roma e il tema è la “Teoria della nascita e ricerca sulla realtà umana: 40 anni di Analisi collettiva”. A celebrare 40 anni di studio ed attività clinica del professor Fagioli ci pensano ben due dipartimenti del primo ateneo della Capitale (Neurologia e Psichiatria e Studi Orientali) che hanno chiamato a raccolta filosofi, economisti, antropologi, fisici e psichiatri per discuterne. Noi un bilancio di questi 40 anni di storia proviamo a farlo con il protagonista.
Professore, cos’è l’Analisi collettiva?
Questa domanda è impossibile! Se non vogliamo limitarci alla cronaca dei fatti e provare a fare un discorso serio, posso dire che non l’ho fatta io. È stata la gente ad arrivare e a chiedermi l’interpretazione dei sogni. Io ho solo risposto a questa domanda collettiva, di anonimi.
Più volte ha scritto che tutto è iniziato con una ragazza che le ha detto “Ho fatto un sogno”…
In verità c’è una premessa, io fui chiamato dall’università di Roma per fare una supervisione a giovani psichiatri. Fino a quando (dopo un’interruzione avvenuta il 4 novembre del 1975) l’11 interpretai la fantasia di sparizione e il gruppo di 15 psicanalisti se ne andò. Al loro posto ci fu un afflusso di decine e decine di persone, e il 13 gennaio del 1976 una ragazza dal fondo della sala, disse “io ho fatto un sogno”. Quella fu la grande svolta, perché io invece di dire “questo no, l’interpretazione dei sogni si fa nello studio privato…”, ho risposto. Questo è il cardine di tutta la storia dei 40 anni.
E perché non ha detto No alla ragazza?
Non lo so. Mi è venuto spontaneo, io oramai avevo rotto e denunciato l’imbecillità della teoria di Freud. Venivo da esperienze psichiatriche a Venezia, a Padova, in Svizzera con Binswanger, il primariato in una comunità terapeutica autosufficiente, il completamento di tutto il training analitico, e mi è venuto spontaneo rispondere in questa maniera. Ho detto Sì.
Quindi possiamo dire che il passaggio è stato da una supervisione per specialisti a un setting dove si fa cura, formazione e ricerca?
Certamente sì. L’orario non l’ho mai toccato, il luogo ho dovuto cambiarlo per ovvie ragioni: non ci si entrava più, la stanza era piccola, e il direttore aveva detto basta. Per cui nell’80 sono passato allo studio privato dove sto e lavoro tuttora. Questi sono i fatti, ma il significato è perché ho risposto Sì a quella ragazza. Penso sia stata una mia svolta personale, all’interno di una ricerca che era iniziata già nel ’57. Volevo capire come funzionava il discorso della mente e delle malattie della mente. Nessuno le conosceva, anzi nessuno aveva neanche pensato di andarsi a vedere cos’era la realtà mentale non cosciente. Quel terzo di vita in cui si dorme. Non si è mai scoperta la parola negazione confusa con il rifiuto. Al massimo c’erano le panzane alla Walt Disney, per cui “i sogni son desideri”.
E invece cosa sono i sogni e perché dovrebbero avere tutto questo peso?
I sogni sono trasformazione del pensiero cosciente in pensiero senza coscienza. Dal pensiero verbale al pensiero per immagini. Non c’è la parola, non c’è linguaggio articolato, il sogno è pensiero libero. Il linguaggio articolato in ogni modo è un linguaggio imparato mentre il sogno no, esprime spontaneamente qualcosa che viene da dentro. C’è la creazione di immagini, il problema è che, da Platone fino ad Heidegger, nessuno si è voluto rapportare con le immagini, ma soltanto con il linguaggio articolato. Ed invece io non ho avuto paura di questo mondo oscuro della notte e non mi sono rifugiato nella cretineria delle libere associazioni che non è scoperta dell’inconscio ma libero esercizio di memoria cosciente (perché questo ha fatto, in verità, Freud). Mentre l’immagine onirica non è mai ricordo cosciente che riproduce esattamente quello che è accaduto nella veglia, perché crea un’immagine nuova sotto stimolo di quello che si è pensato e vissuto nella veglia, però trasformandolo. È un linguaggio personale.
Lei ha sempre dichiarato che la storia dell’Analisi collettiva è una storia di sinistra. Mi spiega cosa c’entra una prassi di cura e ricerca con la sinistra?
Direi più di ricerca che cura, ci sarebbe da fare un discorso un po’ filosofico perché anche il politico cura. Il politico risolve guai della città e dei cittadini, deve far star bene i cittadini. Quello che conta per me è la teoria, non ci può essere sinistra se non si capisce che l’essere umano nasce nel rapporto uomo-natura. Questa è la verità umana, feto in rapporto con la luce. Nell’uomo alla nascita c’è una reazione della sostanza cerebrale alla luce, questa reazione è la pulsione di annullamento che è alla base della creatività umana.
Discorsi difficilissimi questi, io l’ho sentita dire più volte che la sinistra è capire “cosa fa stare bene le persone”, partendo dalla premessa che “gli 80 euro sono polpette avvelenate, da cui va tolto il veleno”… vuole spiegarci quale è il veleno?
La cecità sulla realtà umana, per cui la sinistra, anche storicamente con Marx e il comunismo, pensa all’uomo soltanto come corpo funzionante. Da Cuba alla Russia fino alla Cina, hanno sempre assicurato il benessere fisico, ma considerare la sola soddisfazione dei bisogni non è sufficiente, non siamo animali. Bisogna realizzare le esigenze.
“Realizzare le esigenze” fa star bene?
Sì. Chiaramente non si deve negare il benessere fisico, questo va mantenuto – e per assurdo lo ha fatto meglio il capitalismo con la tecnologia, poi certo distrugge, perché subentra il razzismo di far star bene solo quelli che pagano e di lasciar morire i poveri – ma occorre andare oltre, va scoperta la propria nascita, per poi trovare la propria identità. Io quello che dico alle migliaia di persone che sono venute all’Analisi collettiva: non mi interessa affatto la vostra felicità, mi interessa la vostra identità. Un’identità umana che superi la scissione storica tra coscienza e non coscienza che sarebbe soltanto animalità, cattiveria, peccato originale, male radicale, nulla ebraico.
Quindi esser di sinistra vuol dire eliminare questa scissione storica tra anima e corpo?
Sì. Essere di sinistra è rivolta, ricerca, emancipazione, liberazione. È rivoltarsi a questa crudeltà che considera, per esempio, che l’uomo nasce animale perché l’umanità deve essere data dal battesimo che risolve il peccato originale… che sono queste stupidaggini, questa repressione? La realtà umana è movimento. E il movimento è trasformazione.
Alla Sapienza si celebrano i suoi 40 anni di attività. È soddisfatto?
Non sono soddisfatto! (ride), perché la soddisfazione ha a che fare con i bisogni del corpo, qui la parola è realizzazione che è legata alle esigenze e quindi all’identità. Io ogni giorno mi gioco tutta l’identità con l’Analisi collettiva. Persino la salute fisica, perché se fallisco, se mi ammalo (e sarebbe normale alla mia veneranda età!), l’Analisi collettiva fallisce. Mi hanno messo con le spalle al muro.
Nei prossimi 40 anni che farà?
Mah… oramai sono prigioniero! Cerco di rubare le ore al tempo per scrivere, correggere, disegnare, fare i seminari, devo fare ancora tantissime cose.
L’intervista è tratta da numero di Left in edicola