Mentre a Roma andava in scena l’assemblea del Pd - quella della scissione che non è ancora scissione - a Rimini nasceva ufficialmente Sinistra italiana. E c'è stata la prima scissione, sì, ma si sono dette anche molte cose interessanti

Mentre a Roma andava in scena l’assemblea del Pd – quella della scissione che non è ancora scissione – a Rimini nasceva ufficialmente Sinistra italiana, che finora era un gruppo parlamentare e adesso è invece anche un partito con tanto di segretario, Nicola Fratoianni, uno statuto (che prevede ad esempio che una quota di risorse del partito sia destinata a progetti di mutualismo), un centro studi e – come avrete sicuramente letto – una sua prima scissione. Immancabile questa, con Arturo Scotto, Marco Furfaro e altri dirigenti, militanti e anche parlamentari, che vanno proprio incontro agli scissionisti del Pd (e un gruppo parlamentare, quindi, che voterà la fiducia al governo).

Sul numero di Left in edicola, con un’ampia intervista proprio a Fratoianni, raccontiamo le ragioni di Sinistra italiana. Presto vi racconteremo come, invece, Sinistra italiana dialogherà con Possibile di Civati, con DemA, il movimento del sindaco De Magistris, con gli stessi scissionisti del Pd, e con tutti gli altri rivoli della sinistra, visto che una delle cose uscita più volte a Rimini è che – come ovvio, nonostante la fine della stagione maggioritaria e il ritorno, ormai scontato, al proporzionale – Sinistra italiana potrebbe anche non avere il proprio simbolo sulla scheda. D’altronde già con noi Fratoianni ha evocato il modello di Podemos, che governa sia Madrid che Barcellona – le due “capitali” spagnole – in una coalizione civica di sinistra, non con una propria lista.

Qualcosa di simile, qui, si è fatto alle ultime Comunali di Bologna. È per questo che il primo intervento che vi segnaliamo da Rimini è quello di Federico Martelloni, che della lista Coalizione civica era il candidato sindaco.

Gli altri offrono una sintesi delle tre giornate di congresso (online c’è la registrazione integrale, se volete), tra la necessità di cronaca e la voglia di segnalarvi (con quello che al momento si trova online) alcuni tra i contenuti e i volti che più ci sono piaciuti. Come Claudia Pratelli, sociologa e sindacalista, che dice «è la prima volta che immagino un partito come uno spazio dove esercitare il mio impegno» e che parla, tra le altre cose, «dell’economia della promessa, che serve a estorcere lavoro gratuito» e dei voucher, «l’italianissima versione della gig economy, l’economia dei lavoretti, l’ennesima delle truffe».

C’è poi la giornalista ed ex sindaca di Molfetta Paola Natalicchio che chiede a «Pippo, a Luigi, a tutti: perché non facciamo una sinistra sola? Cosa ce lo impedisce? Come lo spiegheremo alle persone che non arrivano a fine mese, ai precari senza diritti, per cui chiediamo il reddito minimo garantito, ai giovani senza autonomia, ai disabili che chiedono inclusione, agli omosessuali, agli innovatori, ai migranti; come spiegheremo alla nostra comunità che non siamo in grado di fare una sinistra sola e metterla al servizio delle battaglie che non fa più nessuno? Io chiedo questo a Nicola Fratoianni, di lavorare all’unità della sinistra italiana e non solo di Sinistra Italiana, di prendere per mano tutta la nostra stanchezza».

C’è Giuseppe Civati che risponde anche a Natalicchio e dice, «per questo abbiamo bisogno di dire cosa facciamo noi». «Bisogna avere la stessa follia del M5s, che poi nella follia ha ecceduto e che per mille ragioni non ci ha convinto né ci convince, ma che nel 2013 ha lanciato una sfida su questioni di cui nessuno si faceva carico. Abbiamo la stessa forza e la stessa determinazione?». «L’Italia», dice, «ha bisogno di una sinistra con agenda politica propria. A noi serve un taccuino, preciso negli obiettivi e con i numeri a fianco di ogni voce. Sanders e Hamon che tutti citano non sono la sinistra radicale, sono la sinistra normale: la normale sinistra di chi vuole cambiare le cose, non mantenerle come sono, con falsi movimenti e trucchi da quattro soldi. Orgoglio, ci vuole. Non la nostalgia dei tempi che furono. Ci vuole l’idea di competere come se fossimo alla pari. Gli altri sono al 30% e noi sotto il 5? Chi l’ha detto che finirà così? Si azzererà tutto alle prossime elezioni, lo abbiamo capito, oppure no?».

Da ascoltare è poi l’«avvocata» Cathy La Torre, anche lei bolognese, come Martelloni, che dice: «Vorrei che tutte le nostre sedi si trasformassero in stanze del tempo, dei bisogni, dei sogni, del mutualismo. Qualcuno immagina un campo dei progressisti, io immagino un campo dei mutualismi, immagino di riempire le nostre sedi di banchi alimentari, raccolte vestiti, ludoteche, sportelli legali, attività ricreative per chi non può permettersi neanche un doposcuola. Immagino di illuminare il buio. Così si cambiano i termini del discorso».

E Marco Grimaldi che, venendo da Torino, dove è consigliere regionale, comincia il suo intervento sulle ricadute occupazionali dell’automazione, sui robot che fanno scomparire i posti di lavoro: «Operai? Non solo. La Banca d’Inghilterra ci dice che sarà il settore amministrativo a pagare il prezzo più alto».

Di vita indipendente parla invece Giacomo Di Foggia, in un intervento che si apre con un’interessante considerazione sulla Buona scuola, e su quanto da lontano arrivino i nostri problemi.

Applaudito è stato l’intervento di Luigi De Magistris, che parla dell’esperienza napoletana e di quello che può rappresentare, di cosa succede «quando i cittadini si prendono cura dei luoghi abbandonati», contro l’uso privatistico. E si chiede «perché gli altri sindaci non rispettano il referendum sull’acqua pubblica».

E infine, ovviamente, l’intervento conclusivo di Nicola Fratoianni che tra i vari spunti programmatici («la sinistra deve fare il suo mestiere, e di questi tempi non è poco») rilancia la sfida (già lanciata da Landini) dei due sì ai referendum sul lavoro e stuzzica i nuovi gruppi parlamentari, scissionisti di sinistra italiana e Pd, sulla fiducia al governo gentiloni: «Cosa faranno quando Minniti porterà in aula il suo piano sicurezza?».

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.