Yannupoulos doveva parlare alla conferenza annuale dei conservatori, a cui andavano bene le battute contro femministe, neri, Islam, ma non una frase sulla pedofilia. Ritratto del "supercattivo della rete" sbocciato con il GamerGate e sdoganato da Trump

Lui dice di essere il più «fantastico super cattivo di internet», altri lo definiscono un razzista qualsiasi. Volendo storicizzare potremmo definirlo la versione web, contemporanea e provocatoria di Theo Van Gogh, il regista ucciso in Olanda nel 2004 dopo aver prodotto un film documentario sul trattamento delle donne nell’Islam. Certo è che negli ultimi due anni Milo Yannupoulos, 32enne nato in Grecia da padre greco e madre britannica e cresciuto in Gran Bretagna, si è distinto per la capacità di vendere il proprio brand: gay (issimo), razzistissimo, scorretto, britannico fino al midollo, nel look come nel modo di provocare. In rete Yannupoulos sbeffeggia, insulta, incita all’odio ma sempre con toni sarcastici, come se si trattasse di uno scherzo. Il suo canale YouTube ha 550mila follower. Negli anni se l’è presa con Leslie Jones, attrice nera del nuovo Ghostbusters, la cui pagina su Tumblr è stata presa di mira da insulti a sfondo razziale – la foto di un gorilla morto postata ripetutamente. La campagna contro l’attrice nera gli costò l’espulsione in forma definitiva dal social network a 140 caratteri. Nel frattempo però è cresciuto in popolarità su YouTube, autodefinendosi “Troll King” fino a quando il suo successo non lo ho portato ad essere ingaggiato dalla redazione di BreibartNews, sito gestito da Steve Bannon, oggi stratega della Casa Bianca.

Yannupoulos sbeffeggia le altre culture

La sua popolarità in rete comincia nel 2014 con il GamerGate, movimento d’opinione violento e aggressivo, fatto di insulti, attacchi personali e minacce contro le sviluppatrici di giochi donne. L’hashtag #GamerGate usato per la prima volta dall’attore Adam Baldwin, voce del videogioco Halo, è stato usato per denunciare la campagna di trollaggio contro la sviluppatrice Zoe Quinn, accusata (dall’ex compagno) di aver fatto sesso in cambio di buone recensioni per il suo videogioco, Depression Quest, un gioco che faceva immedesimare l’utente in una persona depressa. Il tema all’epoca era l’intrusione delle donne in un mondo chiuso ritenuto di prerogativa maschile, perché fatto di codici e dati. Finì con minacce di stupri e morte che attivarono anche le autorità federali e costrinsero diverse sviluppatrici a cambiare identità sul Web e addirittura abitazione.

Da giornalista su BreibartNews Yiannopoulos ha scritto articoli titolati «Il controllo delle nascite fa andare le donne fuori di testa e le rende brutte» e «Preferireste che vostro figlio avesse il cancro o il femminismo?». Posizioni provocatorie e di estrema destra dunque quelle portate avanti da questo giovane gay che negli ultimi giorni è finito nei guai. O meglio, ha ricevuto uno stop alle sue provocazioni dopo la diffusione di un’ultima intervista, dove Milo si è spinto davvero troppo oltre.

L’editore della sua autobiografia “Dangerous”, che ha già anticipato 200mila dollari per la sua pubblicazione, prevista per il giugno prossimo, ha annunciato che il libro non verrà stampato né commercializzato. E la Conservative Political Action Conference, l’appuntamento annuale dei conservatori più conservatori, ha cancellato la sua partecipazione tra gli speaker. Il motivo è semplice: una settimana fa è spuntata una audio intervista nella quale Yiannopoulos difende in forma velata la pedofilia come relazione nella quale «l’adulto aiuta il ragazzo a capire chi è». Apriti cielo: se gli insulti alle donne, ai neri, ai transgender, ai musulmani andavano bene ai conservatori, la pedofilia è peccato. Quanto al libro, è evidente che chi gli aveva fatto firmare un contratto non è preoccupato per i contenuti del libro – che aveva letto – ma delle ripercussioni: riviste avevano annunciato che non avrebbero più parlato dei libri di Schuster e Schuster e autori avevano stracciato i contratti.

Yiannopoulos è finito nel fango, costretto a scusarsi, spiegare che la sua era una battuta. Con un video sulla sua pagina facebook, ora rimosso, Milo dice di essere disgustato da quei crimini e dalle persone che li commettono. Ha quindi capito di aver fatto un passo troppo lungo, che la popolarità si paga. Questo è il terzo libro della star destrorsa del web che finisce al macero o non viene finito – uno su Gamergate e un secondo contro i “socipoatici della Silicon Valley” – ma, scrive lo stesso Yiannopoulos, «la cosa non mi fermerà» giura. Neppure gli scontri che gli hanno impedito di parlare a Berkeley, dove era stato invitato nei mesi scorsi, del resto lo hanno fermato. Sembra di capire che persino a BreibartNews ci siano dei giornalisti in rivolta contro il loro collega: se non lo cacciate ce ne andiamo, hanno detto diversi di loro alla proprietà. Vedremo cosa deciderà Steve Bannon.

Una della ragioni per cui si parla tanto di questo giovane guastatore della rete è perché è un fan della prima ora di Donald Trump, che nei suoi video e podcast chiama “Daddy”, papino. La ragione principale del suo amore per Trump, oltre alla guerra dichiarata all’Islam e ai messicani, è la fine del politically correct e la difesa della libertà di parola. In America questa è sacra, grazie al primo emendamento della Costituzione, ma Trump, con i suoi discorsi sopra le righe ha portato la scorrettezza sul podio più alto. Basta civiltà e buone maniere, ognuno dice quel che vuole e come vuole perché è giusto così. Una modalità che incoraggia ed esalta Milo. Nei mesi prima delle elezioni, Donald Trump junior, il figlio del presidente, aveva condiviso su instagram la foto qui sotto, un meme che scherza sulla frase pronunciata da Clinton sui sostenitori di Trump, dipinti come un basket of deplorables (Banda di miserabili). Nel meme vediamo Milo (a destra), Pepe the Frog,  simbolo involontario (è un fumetto adottato dalla destra ma che di destra non aveva nulla), e poi Trump e suo figlio, oltre al governatore del New Jersey Chris Christie. Ora, il fatto di condividere quella foto, per il figlio di un candidato presidente impegnato per altro nella campagna elettorale del padre, è una dimostrazione di gradire eccome il fatto di essere accostato alla destra estrema, agli ambienti di alt-right, che Bannon ha collegato al suo sito.

La relativa debacle di Yiannopoulos non sarà un problema per lui. Per ora il suo brand viaggia a gonfie vele e la sua scorrettezza piace a una parte di società americana giovane e infuriata contro i maledetti liberal e la diversità. Certo è che, con lui e tutti gli altri personaggi che Trump ha imbarcato, l’estrema destra e certi discorsi sono stati definitivamente sdoganati entrando a pieno titolo nel mainstream. In parallelo, come segnala il Southern Poverty Law Center, che ogni anno pubblica un rapporto sugli attacchi a sfondo razziale e i gruppi di estrema destra, cresce il numero di gruppi di destra attivi negli Stati Uniti. Il SPLC ha verificato che il numero di gruppi attivi nel 2016 è salito a 917 – da 892 nel 2015, 101 in meno del record del 2011, dopo l’esplosione del Tea Party, ma comunque un numero molto alto. L’SPLC ha anche condotto un’inchiesta tra 10mila professori per constatare che le relazioni tra gruppi e i toni e insulti a sfondo razziale e sessista sono in aumento nelle scuole d’America.

La mappa degli hate groups del SPLC (link sulla mappa)