Giuro che mi ci sono messo di impegno. Ho fatto cose inimmaginabili come cercare contenuti politici nel balletto di Emiliano, ho anche sopportato tutto questo smemorato neo tifo per D’Alema, ho cercato le interviste degli scissionisti annotandomi le parole ufficiali insieme a quelle dette e a quelle scritte e provando a tradurre anche i retroscena ma continuo a non comprendere quale siano le inconciliabili visioni di Paese che sostengono l’uscita della minoranza dal PD.
Sia chiaro: non concordo in quasi nulla con le politiche di Renzi, non mi piace questa sua tiepida coda a forma di Gentiloni e credo che non ci sia nemmeno un’ombra di sinistra nel governo che fu dello scout paninaro e della sua accolita. Personalmente credo che ci sarebbero quintali di motivi per non concordare con lui ma da qui, da fuori, non mi pare di coglierne chiaramente uno che sia uno da questi eterni transfughi che non transfugano mai. Perché si rompe il Pd?
Il congresso, ad esempio. Ma davvero qualcuno crede che la leadership di Renzi sia contendibile nel contesto attuale? Dai, su, non scherziamo. E quindi? Qualcuno crede anche da sconfitto di poterne condizionare le politiche? Suvvia, no. E allora? C’è chi pensa di riversare nel PD, per il tesseramento buono per la conta congressuale, la “sinistra” per modificare gli equilibri del partito? Certo che no. E quindi? Cosa significa “un congresso veramente aperto” come chiede la minoranza? Che Renzi debba correre con un giro di penalità? Che la vittoria si decida con una lotteria alla Festa dell’Unità di Pocapaglia? Spiegatemi, vi prego.
Il programma, mi dicono. Ma non è il programma proprio il nucleo fondante di una candidatura alla segreteria? Posto che vinca Renzi come si può pensare di costringerlo a supportare politiche che non gli appartengono? Mistero. Nero.
E concretamente che “segnali di apertura” si stanno aspettando? Perché Emiliano, Bersani, Speranza o qualcuno di loro non sprecano un minuto per spiegare anche a noi qui fuori?
C’è una dichiarazione illuminante del senatore PD Giorgio Tonini che ieri ha scritto: «È dunque evidente e comprensibile che le modalità di selezione dei cento capilista siano al centro della contesa. La minoranza di sinistra del Pd considera infatti certa la rielezione di Matteo Renzi alla guida del partito e teme che la scelta, da parte del segretario, dei cento capilista premi in modo abnorme i suoi fedelissimi e lasci a loro, alla minoranza, solo le briciole. A quel punto, dicono in molti, tanto vale rischiare la scissione: se ci va male non ci andrà comunque peggio che se restassimo nel Pd, se invece ci andasse bene…»
Di sicuro c’è solo che anche oggi la scissione la facciamo domani.
Buon martedì.