21 febbraio 1965, Malcolm X sta per tenere un discorso a Manhattan. Ma non fa neanche in tempo a cominciare. Tre uomini seduti in prima fila gli sparano addosso con fucili e pistole: lo raggiungono 16 proiettili, di cui tre mortali. Era rientrato in città da una settimana. E, dopo un tentato avvelenamento al Cairo, ad attenderlo a New York aveva trovato la sua casa incendiata da un attentato dinamitardo. Chi ha ucciso Malcolm X? Ancora oggi, 52 anni dopo, ci sono diverse ipotesi. Se tre membri della Nation of Islam furono arrestati come esecutori (Talmadge Hayer, Norman 3X Butler e Thomas 15X Johnson), ma chi sono i mandanti? Per qualcuno sono da ricercare tra i suoi stessi collaboratori - di recente, una delle figlie, Qubilah Shabazz, ha accusato l'attuale capo della Nazione dell'Islam, Louis Farrakhan, di essere il mandante di quell'assassinio -, per qualcun altro tra le divise dell'Fbi e per altri ancora nel mondo della malavita organizzata e del traffico di droga che sarebbe stata colpita dal lavoro di Malcolm X subendo un calo del giro di affari. Quello che resta, è l'immagina di un milione e mezzo di persone che sfilano ai suoi funerali, il 27 febbraio ad Harlem. Malcolm X - nato El-Hajj Malik El-Shabazz - avrà sempre 39 anni, il suo corpo è sepolto al Cimitero di Ferncliff, ad Hartsdale, New York.

Da malvivente a pensatore, da predicatore a rivoluzionario

Settimo di 11 figli, Malcolm è nato a Omaha, nel Nebraska, il 19 maggio di un 1925. figlio di un pastore battista, Earl Little, e di un'immigrata antillana, Louise Norton, che aveva lasciato Grenada con la sua famiglia quando l'isola era ancora parte dell'impero britannico. Lo spirito di liberazione Malcolm lo respira appena nato, entrambi i genitori infatti aderiscono all'Universal Negro Improvement Association, un movimento pan-africanista di liberazione dei neri che il giamaicano Marcus Garvey aveva fondato nel 1914. Sono i tempi del Ku Klux Klan, l'organizzazione che, fondata nel 1867 nel Tennessee viene messa fuorilegge nel 1869 ma rinasce in Georgia nel 1915. Ed è proprio al Ku Klux Klan che, nel 1931, viene attrobuito l'assassinio del padre di Malcolm. Senza Earl Little, con pochi soldi e la madre malata, la famiglia di Malcolm si comincia a sgretolare. Nel 1937 viene affidato ad alcuni amici, un anno dopo viene espulso da scuola per "cattiva condotta e comportamento anti-sociale", un provvedimento che gli vale il trasferimento nella casa di correzione di Lansing, nello Stato del Michigan. Malcolm ha 15 anni quando, anche per sua madre si prepara un destino di reclusione. Louise, sempre più grave, viene rinchiusa in manicomio per decisione di giudice e assistenti sociali.

Boston, tra ghetto e galera

Lustra le scarpe dei passanti o serve ai tavoli di ristoranti e sui treni. All'inizio degli anni 40 Malcolm si stabilisce nel ghetto nero di Boston. Qui, entra a far parte di un'organizzazione di scommesse clandestine. Nel 1945 è ricercato dalla polizia che lo accusa di essere a capo di una banda di rapinatori, un anno dopo viene tratto in arresto durante una rapina e condannato a dieci anni. Ha inizio la sua conoscenza con il carcere: da quel febbraio del 1946 al luglio del 1952 Malcolm soggiorna in tre carceri del Massachussetts. In una di queste, tra le mura della colonia penale di Norfolk avviene la sua trasformazione, tra il 1948 e il 1951. Malcolm ha poco più di vent'anni. Studia, legge e fa proselitismo. È, infatti, entrato in contatto con la Nazione dell'Islam di Elijah Poole (che aveva già preso un nuovo nome, Elijah Muhammad), è stato suo fratello Reginalda metterlo in contatto. Predica il separatismo autosufficiente dei neri dai bianchi, denuncia il razzismo della religione cristiana, lotta contro droga, tabacco, alcol, cibi impuri e ogni vizio. In carcere sta diventando un'autorità, le autorità decidono di liberarlo.

Una X in memoria dell'Africa

Quello che va a vivere a Inkster, nel ghetto nero di Detroit, non è più solo Malcolm, ma Malcolm X. Malcolm decide di prendere una “X” accanto al suo nome, a perenne memoria della privazione del suo vero nome africano. Non è più un predicatore, e alle galere adesso si sono sostituite le fabbriche. Prima la catena di montaggio di un'industria automobilistica, poi passare la fabbrica di camion Gar Wood. Finché torna sulla costa orientale, e riprende a predicare per la Nazione dell'Islam. Con Malcolm X, l'organizzazione non si limita ad aprire e organizzare nuove moschee, ma diventa il gruppo politico-religioso di «musulmani di colore, separatisti e rigidamente organizzati». Gli anni 50 stanno per finire, Malcolm sposa Betty Shabazz, una compagna del suo movimento, e si stabilisce a New York. È il 1958.

L'evoluzione politica

È il momento di viaggiare. Europa, Medio Oriente, Africa. Malcolm X modella le sue idee che pian piano cominciano a prendere forma: vuole stringere l'intesa con i gruppi antisegregazionisti del Sud e nel resto del paese e capisce di dover internazionalizzare il “problema dei neri”. Per farlo è necessario stringere intese anche con i Paesi arabi, soprattutto con quelli africani, e con le ex colonie. Tra il 1963 e il 1964, decide di fondare “l'Organizzazione dell'Unità Afroamericana". Le sue posizioni contro il governo degli Stati Uniti si fanno sempre più decise, tanto in politica estera quanto in quella interna. In quegli anni c'è un altro leader che si aggira per il mondo: Martin Luther King. Ma Malcolm X non ne condivide il pacifismo, la rottura arriva subito dopo la marcia su Washington, una delle più grandi manifestazioni per i diritti civili nella storia degli Stati Uniti (agosto 1963). «La farsa su Washington», la definì Malcolm X senza mezzi termini. Del resto, la sua ostilità nei confronti di King non fu mai un mistero, così come le sue critiche alle teorie della non-violenza che, sosteneva Malcolm X, facevano il gioco dell'oppressore istigando i neri a non reagire. Nel 1964 Malcolm X lascia la Nazione Islamica. Due anni prima era venuto a sapere che il leader dell’organizzazione, Elijah Muhammed, aveva diverse cause in corso con due sue segretarie che gli chiedevano di riconoscere i figli avuti da relazioni illegittime. Malcolm X si allontana e parte per un pellegrinaggio alla Mecca. Secondo alcuni biografi in quel viaggio in Arabia Saudita comincia a non considerare tutti i bianchi come dei nemici. Vede pregare insieme musulmani dalla pelle scura e chiara.

La rivoluzione anticoloniale

L'unità etnica e di condizione dei neri è il collante per gli oppressi di tutto il mondo. È questa la convinzione che matura nella testa e del core di Malcolm X: «Gli afro-americani non sono una minoranza degli oppressi dagli Stati Uniti, ma sono una parte minoritaria di tutti gli oppressi dal Colonialismo», dice durante uno dei suoi discorsi. Il suo è un discorso politico internazionalista che pianta le radici su su una certezza: il razzismo a cui sono sottoposti i neri americani è connaturato all'essenza stessa del capitalismo. «In passato pensavano al loro problema come una questione di diritti civili, il che la rendeva una questione nazionale, confinata alla giurisdizione degli Stati Uniti d'America, in cui i neri potevano solo cercare l'aiuto dei liberal-progressisti bianchi. Oggi i negri dell'emisfero occidentale si rendono conto che il loro è un problema di diritti umani, piuttosto che di diritti civili. E quel problema, nel contesto dei diritti umani, diventa una questione internazionale. Cessa di essere un problema negro, un problema americano, diventa un problema internazionale». Per Malcolm X la lotta anticapitalista internazionale è una lotta al razzismo. Perché il nemico che bombarda il Congo è lo stesso che arma i cittadini contro i negri ed è lo stesso che crea i ghetti e la povertà etnica. Ecco che la decolonizzazione ha una funzione strategica. Malcolm X legge Lenin e Marx, e capisce che la debolezza dei negri d'America è direttamente proporzionale al loro essere un ingranaggio della produttività americana. I Ghetti, per Malcolm X, non sono solo il frutto dell'ignoranza dei bianchi, ma richiami alla divisione del lavoro internazionale, che si replica sul contesto nazionale. Malcolm X, intravede i processi di etnicizzazione del lavoro, quelli che oggi noi vediamo alla luce del sole. Ed è nella rivoluzione anticoloniale che intravede la via d'uscita. Come Thomas Sankara, come Ernesto Guevara.

La sua eredità. I Black Panthers

La lotta politica di Malcolm X è un insegnamento essenziale per le black communities, oltre le marce per i diritti civili. A raccogliere la sua eredità Huey P. Newton, Bobby Seals ed Eldrige Cleaver: fondatori del Black Panthers Party. Un partito in cui il pensiero del leader si fonde alle teorie marxiste. Per quattro o cinque anni, il movimento infiamma le tutte le città d’America. Seguono la persecuzione e la repressione. L’Fbi recluta infiltrati e organizza un'operazione diretta da Edgar Hoover, capo dell'agenzia federale nonché uomo legato al Klan. I Panthers vengono sconfitti, ma il pensiero di Malcolm X è ancora un passaggio vitale nella storia americana. Molto più attuale di quanto non si possa pensare.

21 febbraio 1965, Malcolm X sta per tenere un discorso a Manhattan. Ma non fa neanche in tempo a cominciare. Tre uomini seduti in prima fila gli sparano addosso con fucili e pistole: lo raggiungono 16 proiettili, di cui tre mortali. Era rientrato in città da una settimana. E, dopo un tentato avvelenamento al Cairo, ad attenderlo a New York aveva trovato la sua casa incendiata da un attentato dinamitardo. Chi ha ucciso Malcolm X? Ancora oggi, 52 anni dopo, ci sono diverse ipotesi. Se tre membri della Nation of Islam furono arrestati come esecutori (Talmadge Hayer, Norman 3X Butler e Thomas 15X Johnson), ma chi sono i mandanti? Per qualcuno sono da ricercare tra i suoi stessi collaboratori – di recente, una delle figlie, Qubilah Shabazz, ha accusato l’attuale capo della Nazione dell’Islam, Louis Farrakhan, di essere il mandante di quell’assassinio -, per qualcun altro tra le divise dell’Fbi e per altri ancora nel mondo della malavita organizzata e del traffico di droga che sarebbe stata colpita dal lavoro di Malcolm X subendo un calo del giro di affari. Quello che resta, è l’immagina di un milione e mezzo di persone che sfilano ai suoi funerali, il 27 febbraio ad Harlem. Malcolm X – nato El-Hajj Malik El-Shabazz – avrà sempre 39 anni, il suo corpo è sepolto al Cimitero di Ferncliff, ad Hartsdale, New York.

Da malvivente a pensatore, da predicatore a rivoluzionario

Settimo di 11 figli, Malcolm è nato a Omaha, nel Nebraska, il 19 maggio di un 1925. figlio di un pastore battista, Earl Little, e di un’immigrata antillana, Louise Norton, che aveva lasciato Grenada con la sua famiglia quando l’isola era ancora parte dell’impero britannico. Lo spirito di liberazione Malcolm lo respira appena nato, entrambi i genitori infatti aderiscono all’Universal Negro Improvement Association, un movimento pan-africanista di liberazione dei neri che il giamaicano Marcus Garvey aveva fondato nel 1914. Sono i tempi del Ku Klux Klan, l’organizzazione che, fondata nel 1867 nel Tennessee viene messa fuorilegge nel 1869 ma rinasce in Georgia nel 1915. Ed è proprio al Ku Klux Klan che, nel 1931, viene attrobuito l’assassinio del padre di Malcolm. Senza Earl Little, con pochi soldi e la madre malata, la famiglia di Malcolm si comincia a sgretolare. Nel 1937 viene affidato ad alcuni amici, un anno dopo viene espulso da scuola per “cattiva condotta e comportamento anti-sociale”, un provvedimento che gli vale il trasferimento nella casa di correzione di Lansing, nello Stato del Michigan. Malcolm ha 15 anni quando, anche per sua madre si prepara un destino di reclusione. Louise, sempre più grave, viene rinchiusa in manicomio per decisione di giudice e assistenti sociali.

Boston, tra ghetto e galera

Lustra le scarpe dei passanti o serve ai tavoli di ristoranti e sui treni. All’inizio degli anni 40 Malcolm si stabilisce nel ghetto nero di Boston. Qui, entra a far parte di un’organizzazione di scommesse clandestine. Nel 1945 è ricercato dalla polizia che lo accusa di essere a capo di una banda di rapinatori, un anno dopo viene tratto in arresto durante una rapina e condannato a dieci anni. Ha inizio la sua conoscenza con il carcere: da quel febbraio del 1946 al luglio del 1952 Malcolm soggiorna in tre carceri del Massachussetts. In una di queste, tra le mura della colonia penale di Norfolk avviene la sua trasformazione, tra il 1948 e il 1951. Malcolm ha poco più di vent’anni. Studia, legge e fa proselitismo. È, infatti, entrato in contatto con la Nazione dell’Islam di Elijah Poole (che aveva già preso un nuovo nome, Elijah Muhammad), è stato suo fratello Reginalda metterlo in contatto. Predica il separatismo autosufficiente dei neri dai bianchi, denuncia il razzismo della religione cristiana, lotta contro droga, tabacco, alcol, cibi impuri e ogni vizio. In carcere sta diventando un’autorità, le autorità decidono di liberarlo.

Una X in memoria dell’Africa

Quello che va a vivere a Inkster, nel ghetto nero di Detroit, non è più solo Malcolm, ma Malcolm X. Malcolm decide di prendere una “X” accanto al suo nome, a perenne memoria della privazione del suo vero nome africano. Non è più un predicatore, e alle galere adesso si sono sostituite le fabbriche. Prima la catena di montaggio di un’industria automobilistica, poi passare la fabbrica di camion Gar Wood. Finché torna sulla costa orientale, e riprende a predicare per la Nazione dell’Islam. Con Malcolm X, l’organizzazione non si limita ad aprire e organizzare nuove moschee, ma diventa il gruppo politico-religioso di «musulmani di colore, separatisti e rigidamente organizzati». Gli anni 50 stanno per finire, Malcolm sposa Betty Shabazz, una compagna del suo movimento, e si stabilisce a New York. È il 1958.

L’evoluzione politica

È il momento di viaggiare. Europa, Medio Oriente, Africa. Malcolm X modella le sue idee che pian piano cominciano a prendere forma: vuole stringere l’intesa con i gruppi antisegregazionisti del Sud e nel resto del paese e capisce di dover internazionalizzare il “problema dei neri”. Per farlo è necessario stringere intese anche con i Paesi arabi, soprattutto con quelli africani, e con le ex colonie. Tra il 1963 e il 1964, decide di fondare “l’Organizzazione dell’Unità Afroamericana”. Le sue posizioni contro il governo degli Stati Uniti si fanno sempre più decise, tanto in politica estera quanto in quella interna. In quegli anni c’è un altro leader che si aggira per il mondo: Martin Luther King. Ma Malcolm X non ne condivide il pacifismo, la rottura arriva subito dopo la marcia su Washington, una delle più grandi manifestazioni per i diritti civili nella storia degli Stati Uniti (agosto 1963). «La farsa su Washington», la definì Malcolm X senza mezzi termini. Del resto, la sua ostilità nei confronti di King non fu mai un mistero, così come le sue critiche alle teorie della non-violenza che, sosteneva Malcolm X, facevano il gioco dell’oppressore istigando i neri a non reagire. Nel 1964 Malcolm X lascia la Nazione Islamica. Due anni prima era venuto a sapere che il leader dell’organizzazione, Elijah Muhammed, aveva diverse cause in corso con due sue segretarie che gli chiedevano di riconoscere i figli avuti da relazioni illegittime. Malcolm X si allontana e parte per un pellegrinaggio alla Mecca. Secondo alcuni biografi in quel viaggio in Arabia Saudita comincia a non considerare tutti i bianchi come dei nemici. Vede pregare insieme musulmani dalla pelle scura e chiara.

La rivoluzione anticoloniale

L’unità etnica e di condizione dei neri è il collante per gli oppressi di tutto il mondo. È questa la convinzione che matura nella testa e del core di Malcolm X: «Gli afro-americani non sono una minoranza degli oppressi dagli Stati Uniti, ma sono una parte minoritaria di tutti gli oppressi dal Colonialismo», dice durante uno dei suoi discorsi. Il suo è un discorso politico internazionalista che pianta le radici su su una certezza: il razzismo a cui sono sottoposti i neri americani è connaturato all’essenza stessa del capitalismo. «In passato pensavano al loro problema come una questione di diritti civili, il che la rendeva una questione nazionale, confinata alla giurisdizione degli Stati Uniti d’America, in cui i neri potevano solo cercare l’aiuto dei liberal-progressisti bianchi. Oggi i negri dell’emisfero occidentale si rendono conto che il loro è un problema di diritti umani, piuttosto che di diritti civili. E quel problema, nel contesto dei diritti umani, diventa una questione internazionale. Cessa di essere un problema negro, un problema americano, diventa un problema internazionale». Per Malcolm X la lotta anticapitalista internazionale è una lotta al razzismo. Perché il nemico che bombarda il Congo è lo stesso che arma i cittadini contro i negri ed è lo stesso che crea i ghetti e la povertà etnica. Ecco che la decolonizzazione ha una funzione strategica. Malcolm X legge Lenin e Marx, e capisce che la debolezza dei negri d’America è direttamente proporzionale al loro essere un ingranaggio della produttività americana. I Ghetti, per Malcolm X, non sono solo il frutto dell’ignoranza dei bianchi, ma richiami alla divisione del lavoro internazionale, che si replica sul contesto nazionale. Malcolm X, intravede i processi di etnicizzazione del lavoro, quelli che oggi noi vediamo alla luce del sole. Ed è nella rivoluzione anticoloniale che intravede la via d’uscita. Come Thomas Sankara, come Ernesto Guevara.

La sua eredità. I Black Panthers

La lotta politica di Malcolm X è un insegnamento essenziale per le black communities, oltre le marce per i diritti civili. A raccogliere la sua eredità Huey P. Newton, Bobby Seals ed Eldrige Cleaver: fondatori del Black Panthers Party. Un partito in cui il pensiero del leader si fonde alle teorie marxiste. Per quattro o cinque anni, il movimento infiamma le tutte le città d’America. Seguono la persecuzione e la repressione. L’Fbi recluta infiltrati e organizza un’operazione diretta da Edgar Hoover, capo dell’agenzia federale nonché uomo legato al Klan. I Panthers vengono sconfitti, ma il pensiero di Malcolm X è ancora un passaggio vitale nella storia americana. Molto più attuale di quanto non si possa pensare.