Esistono due mondi. Il "nostro", quello sicuro, di chi a fine giornata, protetto dalle proprie mura domestiche, accende il telegiornale e scuote la testa. E il "loro", quello di chi vive nella paura. Che ti crolli il tetto a causa di un missile; che una forza paramilitare ti entri in casa a fucili spianati - o fucili a spianata; che ti portino via un pezzo di famiglia che solo dopo anni, forse, smetterai di cercare; che ti arrestino per strada e inizi un inferno di torture per un motivo che non c'è; dell'acqua sotto quel gommone nella notte. In questo mondo, abitano milioni di persone. Per milioni di persone, il 2016 è stato un (altro) anno così. Di continua sofferenza e paura, perché governi e gruppi armati hanno compiuto violazioni dei diritti umani nei modi più diversi. Ma è la paura del primo mondo a rendere ancora più pericoloso il secondo. È quello che emerge dal Rapporto annuale di Amnesty International 2016-2017, sottolinea come questa divisione sia amplificata dalla retorica dell'odio, del "noi contro di loro". Una retorica disumanizzante, che appunto, divide il mondo in due: uno da proteggere, l'altro da tenere più lontano possibile. Abbandonandolo al proprio destino. E dunque, lasciando mano libera alla violenza e incoraggiando passi indietro nella difesa dei diritti umani. Il rapporto analizza la situazione dei diritti umani in 159 Paesi, puntando il dito su come l'agenda politica - e comunicativa - dell'Europa, degli Stati Uniti e di altri Paesi, rendano pericolosamente debole la risposta globale alle atrocità di massa. Di questi, ben 36 hanno - fra le altre cose - violato il diritto internazionale rimandando illegalmente rifugiati in Paesi dove i loro diritti umani erano in pericolo. [caption id="attachment_95751" align="aligncenter" width="1024"] Yousif Ajaj 26, from Damascus, Syria living at the Softex refugee camp in an industrial area in the outskirts of Thessaloniki, Northern Greece, 13 July 2016.
‘ Every Day we die 100 times, the air is no good here, the food is not good, there is infection here. Even animals could not live here.’
‘I just want to find a safe place for my child to grow up in.'
The Softex refugee camp in Sindos, near Thessaloniki, 13 July 2016. The camp houses over 1800 people from Syria, Iraq, Afghanistan and Morocco including 500 children. The camp gives the feel of a prison and barbed wire divides its different sections. Conditions are dire and refugees often find snakes around their tents. People at the camp fear for their safety as violent fights break out every day and women live in fear of being assaulted.[/caption] Ne è esempio calzante la «manipolazione delle politiche identitarie allo scopo di ottenere consenso» operate da Donald Trump, che con la sua «la retorica al vetriolo incarna una tendenza globale verso politiche sempre più arrabbiate e divisive. In tutto il mondo, leader e politici hanno scommesso il loro futuro potere su un racconto di paura e discordia, addossando agli “altri” le colpe per le lamentele, reali o create ad arte, dell’elettorato». Facendo peggio, trasformando in azioni la sua propaganda, come i decreti per vietare l’ingresso a persone in fuga dalla persecuzione e dalla guerra, come nel caso della Siria. Come lui, altri leader: «La fabbrica che produce divisione e paura ha assunto una forza pericolosa nelle questioni mondiali. Da Trump a Orbán, da Erdoğan a Duterte, sempre più politici che si definiscono anti-sistema stanno brandendo un’agenda deleteria che perseguita, usa come capri espiatori e disumanizza interi gruppi di persone», ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International. Che, mette in guardia: «Le odierne politiche di demonizzazione spacciano vergognosamente la pericolosa idea che alcune persone siano meno umane di altre, privando in questo modo interi gruppi di persone della loro umanità. Così si rischia di dare via libera ai lati più oscuri della natura umana». Contemporaneamente, denuncia Amnesty, «l’Australia ha inflitto di proposito sofferenze inaudite ai rifugiati intrappolati a Nauru e sull’isola di Manus, l’Unione europea ha firmato un accordo illegale e irresponsabile con la Turchia per rimandare indietro i rifugiati in un contesto insicuro e Messico e Usa hanno continuato a espellere persone dall’America centrale, dove la violenza ha raggiunto livelli estremi». E ancora: «Aleppo, è stata ridotta in macerie dai bombardamenti aerei e dagli scontri per le strade, mentre proseguivano gli attacchi violenti e crudeli contro i civili nello Yemen. Dal peggioramento della difficile situazione dei rohingya nel Myanmar, fino alle uccisioni illegali di massa in Sud Sudan, dal brutale giro di vite sulle voci di dissenso in Turchia e Bahrein». Per Amnesty le Nazioni Unite non sono state da meno: il fallimento degli stati che hanno partecipato al summit di settembre sulla crisi globale dei rifugiati e migranti: «Mentre i leader mondiali non sono riusciti a dimostrarsi all’altezza della sfida, 75.000 rifugiati rimanevano intrappolati nel deserto, in una terra di nessuno tra la Siria e la Giordania». L'Italia e il reato di tortura Per quanto riguarda noi, fra le varie cose di cui il nostro Paese dovrebbe vergognarsi, i rapporti con l'Egitto - la cui normalità, secondo l'organizzazione umanitaria, andrebbe ripristinata solo quando verrà ripristinata la verità sulla tortura e l'assassinio del giovane ricercatore italiano, Giulio Regeni. Un tema, quello della tortura, che non si può continuare a ignorare. Amnesty International Italia ha inviato una lettera al ministro della Giustizia Andrea Orlando proprio riguardante la perdurante inesistenza di questo reato nel codice penale. Firmata insieme al senatore Luigi Manconi, a Patrizio Gonnella di Antigone e ad Antonio Gaudioso di Cittadinanza Attiva, ha lo scopo di sollecitare il Guardasigilli a promuovere un testo di legge efficace e degno di questo nome. «Il governo - si legge nella lettera (leggi qui) - deve assumere un’iniziativa forte, finalizzata a introdurre davvero il reato di tortura con una definizione accettabile, e presentare a tal fine un emendamento al testo in discussione, e poi seguirne l'iter, promuovendo una rapida approvazione nell’attuale legislatura».    

Esistono due mondi. Il “nostro”, quello sicuro, di chi a fine giornata, protetto dalle proprie mura domestiche, accende il telegiornale e scuote la testa. E il “loro”, quello di chi vive nella paura. Che ti crolli il tetto a causa di un missile; che una forza paramilitare ti entri in casa a fucili spianati – o fucili a spianata; che ti portino via un pezzo di famiglia che solo dopo anni, forse, smetterai di cercare; che ti arrestino per strada e inizi un inferno di torture per un motivo che non c’è; dell’acqua sotto quel gommone nella notte. In questo mondo, abitano milioni di persone. Per milioni di persone, il 2016 è stato un (altro) anno così. Di continua sofferenza e paura, perché governi e gruppi armati hanno compiuto violazioni dei diritti umani nei modi più diversi.

Ma è la paura del primo mondo a rendere ancora più pericoloso il secondo. È quello che emerge dal Rapporto annuale di Amnesty International 2016-2017, sottolinea come questa divisione sia amplificata dalla retorica dell’odio, del “noi contro di loro”. Una retorica disumanizzante, che appunto, divide il mondo in due: uno da proteggere, l’altro da tenere più lontano possibile. Abbandonandolo al proprio destino. E dunque, lasciando mano libera alla violenza e incoraggiando passi indietro nella difesa dei diritti umani. Il rapporto analizza la situazione dei diritti umani in 159 Paesi, puntando il dito su come l’agenda politica – e comunicativa – dell’Europa, degli Stati Uniti e di altri Paesi, rendano pericolosamente debole la risposta globale alle atrocità di massa. Di questi, ben 36 hanno – fra le altre cose – violato il diritto internazionale rimandando illegalmente rifugiati in Paesi dove i loro diritti umani erano in pericolo.

Yousif Ajaj 26, from Damascus, Syria living at the Softex refugee camp in an industrial area in the outskirts of Thessaloniki, Northern Greece, 13 July 2016.
‘ Every Day we die 100 times, the air is no good here, the food is not good, there is infection here. Even animals could not live here.’
‘I just want to find a safe place for my child to grow up in.’
The Softex refugee camp in Sindos, near Thessaloniki, 13 July 2016. The camp houses over 1800 people from Syria, Iraq, Afghanistan and Morocco including 500 children. The camp gives the feel of a prison and barbed wire divides its different sections. Conditions are dire and refugees often find snakes around their tents. People at the camp fear for their safety as violent fights break out every day and women live in fear of being assaulted.

Ne è esempio calzante la «manipolazione delle politiche identitarie allo scopo di ottenere consenso» operate da Donald Trump, che con la sua «la retorica al vetriolo incarna una tendenza globale verso politiche sempre più arrabbiate e divisive. In tutto il mondo, leader e politici hanno scommesso il loro futuro potere su un racconto di paura e discordia, addossando agli “altri” le colpe per le lamentele, reali o create ad arte, dell’elettorato». Facendo peggio, trasformando in azioni la sua propaganda, come i decreti per vietare l’ingresso a persone in fuga dalla persecuzione e dalla guerra, come nel caso della Siria.

Come lui, altri leader: «La fabbrica che produce divisione e paura ha assunto una forza pericolosa nelle questioni mondiali. Da Trump a Orbán, da Erdoğan a Duterte, sempre più politici che si definiscono anti-sistema stanno brandendo un’agenda deleteria che perseguita, usa come capri espiatori e disumanizza interi gruppi di persone», ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International. Che, mette in guardia: «Le odierne politiche di demonizzazione spacciano vergognosamente la pericolosa idea che alcune persone siano meno umane di altre, privando in questo modo interi gruppi di persone della loro umanità. Così si rischia di dare via libera ai lati più oscuri della natura umana».

Contemporaneamente, denuncia Amnesty, «l’Australia ha inflitto di proposito sofferenze inaudite ai rifugiati intrappolati a Nauru e sull’isola di Manus, l’Unione europea ha firmato un accordo illegale e irresponsabile con la Turchia per rimandare indietro i rifugiati in un contesto insicuro e Messico e Usa hanno continuato a espellere persone dall’America centrale, dove la violenza ha raggiunto livelli estremi».

E ancora: «Aleppo, è stata ridotta in macerie dai bombardamenti aerei e dagli scontri per le strade, mentre proseguivano gli attacchi violenti e crudeli contro i civili nello Yemen. Dal peggioramento della difficile situazione dei rohingya nel Myanmar, fino alle uccisioni illegali di massa in Sud Sudan, dal brutale giro di vite sulle voci di dissenso in Turchia e Bahrein».

Per Amnesty le Nazioni Unite non sono state da meno: il fallimento degli stati che hanno partecipato al summit di settembre sulla crisi globale dei rifugiati e migranti: «Mentre i leader mondiali non sono riusciti a dimostrarsi all’altezza della sfida, 75.000 rifugiati rimanevano intrappolati nel deserto, in una terra di nessuno tra la Siria e la Giordania».


L’Italia e il reato di tortura

Per quanto riguarda noi, fra le varie cose di cui il nostro Paese dovrebbe vergognarsi, i rapporti con l’Egitto – la cui normalità, secondo l’organizzazione umanitaria, andrebbe ripristinata solo quando verrà ripristinata la verità sulla tortura e l’assassinio del giovane ricercatore italiano, Giulio Regeni.
Un tema, quello della tortura, che non si può continuare a ignorare. Amnesty International Italia ha inviato una lettera al ministro della Giustizia Andrea Orlando proprio riguardante la perdurante inesistenza di questo reato nel codice penale. Firmata insieme al senatore Luigi Manconi, a Patrizio Gonnella di Antigone e ad Antonio Gaudioso di Cittadinanza Attiva, ha lo scopo di sollecitare il Guardasigilli a promuovere un testo di legge efficace e degno di questo nome.
«Il governo – si legge nella lettera (leggi qui) – deve assumere un’iniziativa forte, finalizzata a introdurre davvero il reato di tortura con una definizione accettabile, e presentare a tal fine un emendamento al testo in discussione, e poi seguirne l’iter, promuovendo una rapida approvazione nell’attuale legislatura».