«Questo è un movimento, ce ne sono stati altri, ma questo è nuovo, speciale e così non ce n’è stato mai un altro. E questo movimento cambierà il partito repubblicano, che da ora sarà il partito del lavoratore americano. Milioni si sono raccolti durante le primarie e questo grazie a me. L’America tornerà grande più presto di quando pensate, servendo i cittadini e non i lobbisti e sebbene coopereremo con altri Paesi, non c’è una bandiera o una moneta mondiale, io rappresento il vostro Paese». A parlare è Donald Trump e il suo discorso alla conferenza del CPAC è un manifesto politico populista. Un popolo, un nemico (i media, i messicani cattivi, i Paesi che si fanno proteggere da noi), un capo, degli slogan facili e improbabili, uno spettacolo permanente che più che pensare a governare pensa a radicare il consenso.
Il circo Trump ha fatto una doppia tappa a Washington in questi giorni. C’era la Cpac, la conferenza annuale dei conservatori, un appuntamento in cui le figure nazionali del movimento anti tasse, anti aborto, dei falchi in politica estera si riuniscono, discutono, lanciano nuove figure nazionali. Una conferenza che è diventata progressivamente più di destra e improbabile, ma l’anno scorso, quando molti candidati conservatori correvano alle primarie contro di lui, Trump l’aveva evitata per evitare fischi. Non stavolta. Non lui e nemmeno Reince Priebus e Steve Bannon, le due figure più importanti dell’amministrazione, figure che fanno la politica e che vanno molto più d’accordo di come ci si sarebbe potuti aspettare: uno è l’ala destra della destra americana, l’altro era, in teoria, la figura rassicurante che il partito infilava nella squadra del presidente per tenere calme le acque. I discorsi di Trump e Bannon sono di quelli che meritano di essere riportati, parola per parola. Lasciano a bocca aperta, ma ricordano due cose: Trump sta mantenendo le promesse fatte in campagna elettorale e non ha nessuna intenzione di moderarsi o normalizzarsi, la strategia la fa Bannon e una delle scelte è quella di fare guerra senza quartiere ai media.
I due sono andati assieme alla CPAC e Bannon ha fatto notizia – lo si vede poco in giro – per aver detto: «Se credete di aver visto un brutto momento, non è niente, questa è una guerra totale dei media contro di noi ed è destinata a peggiorare.
«Sono corporation globliste che si oppongono all’agenda nazionale economica di Donald Trump e se pensate che si arrenderanno senza combattere vi sbagliate. Ogni giorno sarà una battaglia e per questo sono fiero di Trump, che agli inviti alla moderazione risponde: ho promesso questo al popolo americano e non cambierò».
Anche Trump se la prende con i media all’inizio del suo discorso. Ribadendo il concetto dei dispensatori di fake news e aggiungendo: «Mi dicono c’è un sondaggio che non va. Chiedo, chi l’ha fatto? No, non li nominerò», poi aggiunge «Clinton News Network?» e poi elenca tutti i suoi nemici. Poi aggiunge: «Ci sono file enormi per venire qui, ma non ve lo diranno, lo dico perché non ve lo faranno sapere». Falso, i reporter hanno fotografato l’esterno, non c’erano file.
Nel complesso quello di Trump è un comizio uguale a quelli della campagna elettorale, ma persino più aggressivo, più populista e più di destra, «Siamo un Paese che mette e metterà i propri cittadini prima degli altri (grida del pubblico: U-S-A, U-S-A), per troppi anni abiamo mandato posti di lavoro altrove, difeso i confini di altri e non difeso i nostri (grida del pubblico: build the wall, build the wall)…siamo in anticipo sui tempi…Ma badate: cacceremo i cattivi (the baaaad ones), gli assassini, gli spacciatori. Abbiamo speso miliardi all’estero e le nostre infrastrutture sono un disastro. Attacca Bush e Obama per il Medio Oriente: se fossero andati al mare per 20 anni staremmo meglio».
Poi attacca i suoi predecessori: «Ho ereditato un disastro, un sistema sanitario catastrofico, una politica estera disastrosa. Quand’è l’ultima volta che abbiamo vinto? Abbiamo mai vinto? Vinceremo, vinceremo alla grande ragazzi!»
Poi riprende da capo l’elenco, ripartendo dal muro: «È finita l’era delle chiacchiere, è tempo di azione. Vi dico cosa stiamo facendo per mantenere fede alle promesse: stiamo lavorando a un grande, grande muro. Sto lavorando con il Dipartimento di Giustizia per fermare il crimine violento: sosterremo gli uomini e le donne che lavorano in polizia. Ci siamo ritirati dal TTP per proteggere gli interessi americani e faremo accordi bilaterali e se si comportano male li stracceremo. Cancelleremo Obamacare, abbiamo autorizzato la costruzione della Keystone pipeline e useremo acciaio americano perché quando ho chiesto “da dove viene l’acciaio” e mi hanno risposto da tutto il mondo ho detto No, se vogliono l’oleodotto lo fanno con l’acciaio americano».
Trump promette anche di eliminare le regole che impediscono alle miniere di estrarre carbone: «Rimetteremo i minatori al lavoro» ma anche «proteggeremo l’ambiente». Infine, riformeremo il sistema fiscale e taglieremo le tasse.
«E grazie a tutte queste cose che faremo i posti di lavoro stanno tornando a frotte e le multinazionali stanno assumendo, investendo. Nessuno ha mai fatto più di me».