Roma come Mumbai, con migliaia di persone povere costrette a vivere nei canneti lungo il Tevere. Dopo aver lavorato nella metropoli indiana, tornando a Roma è questa la dura realtà che si è trovato davanti Giorgio De Finis, antropologo, film-maker e curatore indipendente una volta rientrato nella capitale. Dove ha dato vita a uno degli spazi culturali più vivi e innovativi: il MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz città meticcia. Una fucina d’arte, spazio di incontri e di convegni, all’interno di una ex fabbrica occupata sulla Prenestina. Un crocevia dei linguaggi dove hanno presentato il proprio lavoro molti artisti emergenti e hanno tenuto conferenze artisti come Michelangelo Pistoletto e intellettuali come Marc Augé. Su questo spazio unico e originalissimo sono stati pubblicati già libri e cataloghi, ma Giorgio de Finis ha anche cercato di stimolare una più ampia riflessione sulla città di Roma chiamando urbanisti, architetti, sociologi, attivisti di base a fare il punto sui gravissimi problemi che affliggono la Capitale, proponendo soluzioni più democratiche. Il risultato è Rome nome plurale di città un volume ricchissimo di spunti e di dati per chi voglia studiare la realtà romana di recente pubblicato dall’editore Bordeaux. Left ha incontrato Giorgio de Finis mentre ancora divampava la polemica sulla costruzione dello stadio della Roma. E oggi, dopo che la giunta Raggi ha detto sì alle pressioni dei costruttori, l’antropologo commenta: «Mi dispiace soprattutto che Roma non possa più contare su una figura di rilievo come l’urbanista Paolo Berdini». Anche perché quello dello stadio è solo uno dei tantissimi fronti aperti a Roma dove imperversano la speculazione edilizia, la deregulation e si acuisce la crisi abitativa.
Roma sempre più simile a Mumbai, cosa sta accadendo?
È un problema che riguarda molte grandi città, la globalizzazione ormai sempre più chiaramente mostra il volto peggiore. La massa degli esclusi aumenta a vista d’occhio, perché chi detiene gli strumenti del potere risponde ai poteri forti dell’economia, alle multinazionali che ormai fanno il buono e cattivo tempo nel pianeta. Da un lato la finanza dall’altra gli esclusi. Non avviene solo tra Nord e Sud del mondo, ma anche dentro le città.
Proprio di questo ha parlato l’antropologo Marc Augé intervenendo a Metropoliz?
Augé ha parlato di «città mondo e mondo città»,un binomio che in certo modo sostituisce oggi la sua storica differenziazione fra luoghi e «non luoghi». Le città sono metropoli globali, standardizzate, un po’ tutte uguali delle boutique, delle stazioni degli aeroporti, delle grandi marche. Sono le città della finanziarizzazione degli immobili, che si fanno concorrenza alzando il prezzo delle case al metro quadro. Dall’altra parte, c’è tutto ciò che resta fuori, la «città mondo», le periferie, quella parte del tessuto urbano che sorprende, quella culturalmente più effervescente. Ci avviciniamo a Mumbai perché il mondo continua ad allargare questa forbice. Si stima che il 50 per cento degli immobili della Capitale non siano abitati. A fronte di tutto questo sono moltissime le persone che non hanno un reddito sufficiente a comprasi una casa. Quando Stalker fece una sorta di censimento camminando lungo le sponde del Tevere contò circa 12mila persone che dormivano lì. Certo non sono gli 11 milioni che a Mumbai vivono negli slums, ma il problema è serio. Pensiamo anche, su un altro piano, ai due milioni di persone che abitano fuori città e intasano le consolari in entrata e in uscita. Sarebbe più giusto poter abitare in una città dove la speculazione finanziaria non ti obbliga ad allontanarti così tanto dal luogo di lavoro.
Quale soluzione proporrebbe?
Per fermare tutto questo, basterebbe una tassa dalla terza casa in su. Non sono operazioni da grande urbanista, basterebbe per interrompere a monte il meccanismo perverso. Che a ben vedere torna utile anche ai Comuni, perché su quegli immobili valutano il Pil, chiudendo gli occhi di fronte al fatto che tutto ciò è la causa prima del malessere delle nostre città.
Rom e Sinti, intanto, sono stati confinati ai margini di Roma. È un’altra questione irrisolta?
I villaggi della solidarietà sono stati inventati per espellere Rom e Sinti, per spingerli a 20/30 km di distanza, fuori dal Gra. Sono campi di concentramento. La Comunità europea ci ha contestato questa operazione.
L’articolo 5 del decreto Renzi -Lupi in che modo aggrava la condizione di chi è senza casa?
Le persone che vivono in spazi occupati, grazie al decreto Renzi Lupi, non hanno diritto alla residenza, dunque sono senza cure mediche, non possono iscrivere i figli a scuola. È una situazione che riguarda gli abitanti di Metrolpoliz e di molti altri spazi occupati. Non possono rinnovare la patente, non possono votare pur essendo cittadini italiani. Mi stupisce che in un anno e mezzo ancora nessun politico abbia alzato una vera obiezione, anche se è una evidente dscriminazione: se sei povero non hai nessun diritto, se sei un turista puoi fare come ti pare. Sul pianeta possono camminare solo i più facoltosi . L’Europa ha sottoscritto gli accordi di Dublino che di fatto sono una violazione dei diritti universali. L’articolo 5 pare fatto apposta contro i poveri, lì obbliga a sparire in silenzio, senza darci fastidio. Al tempo stesso sono stati colpiti i movimenti di lotta per la casa, che fanno rete con i No Tav, si cerca di azzittire i movimenti non allineati ai dettami di Bruxelles. Di più, l’articolo 5 è un provvedimento vigliacco, nascosto in un provvedimento tecnico come il piano casa. Ma le maschere stanno cadendo e si vede il lupo sotto il vello dell’agnello. La domanda è se potremo ancora sperare in istituzioni che si pongano al servizio di tutti (e dei più deboli in primis) e non solo di una parte di cittadini.