Depersonalizzazione, spaesamento, sentirsi completamente estranei al lavoro. Sono queste le condizioni in cui si trovano i nostri insegnanti, in base alla ricerca di Luisa Vianello, dottoranda in Psicologia della Sapienza. Ma «il questionario era prima della Buona Scuola, ora ipotizzo un peggioramento».

Non stanno proprio bene gli insegnanti italiani. Tre su dieci denunciano uno stress fortissimo, a livello personale, sul lavoro e con gli studenti (31%). Una sindrome da burnout, come la definisce Luisa Vianello, che nel suo dottorato di ricerca in Psicologia dello sviluppo per la sapienza di Roma ha svolto un’indagine su 1451 docenti italiani. «Una sindrome che coinvolge l’intera psicologia dell’individuo, una rottura nell’equilibrio tra la persona e la sua professione», l’aveva definita nel 2014 a Orizzonti della scuola nel momento in cui stava iniziando a inviare il questionario online ai docenti contattati tramite il portale della scuola. «Burnout significa stress molto alto, depersonalizzazione, spaesamento, il sentirsi completamente estraneo al lavoro, per cui uno fa quello che deve fare senza essere coinvolto», spiega a Left la ricercatrice, che è anche insegnante della scuola primaria e proprio per questa sua esperienza ha sentito ancora di più l’urgenza di indagare sullo stato di salute dei suoi colleghi. «Questa sorta di maschera che un docente stressato si mette al lavoro è un problema perché se sei davanti al pc è un conto, se hai davanti dei ragazzi o dei bambini, questo può creare un disagio»

Se 3 su 10 sono molto stressati, solo 4 su 10 stanno benissimo (42%). Gli altri hanno problemi a livelli più bassi. La ricerca di Vianello, che si avvale di un questionario pubblico – il Copenaghen Burnout Inventory – arriva dopo molti anni di silenzio. In precedenza uno studio della Cisl e la ricerca del dottor Vittorio Lodolo D’Oria si erano interessati del burnout dei docenti. «Ma lui lo aveva fatto da medico, sentendo coloro che avevano fatto richiesta di inidoneità per motivi di salute. Allora venne fuori che erano quasi tutte malattie psichiatriche». Il campione dell’ultimo studio è rappresentativo di tutta Italia, anche se si tratta di autocandidati.

L’80 per cento sono donne, docenti di ruolo ma anche precari, molti professori delle scuole superiori e un numero minimo di maestre della scuola dell’infanzia. Insomma, la fotografia “tipo” dell’insegnante italiano. Le domande, spiega Vianello, hanno seguito tre filoni: «Il burnout per quanto riguarda la parte personale – perché non è detto che sia sempre il lavoro a determinare lo stress – poi domande invece specifiche sul lavoro, e poi una parte legata all’utenza. In base a queste tre scale ho valutato i vari livelli». Domande poi sul “clima di scuola”, il materiale a disposizione, il rapporto con il dirigente e con i colleghi. Ma non ci sono solo situazioni da stress nelle risposte fornite dagli insegnanti. «Le ultime domande aperte, anzi, forniscono risposte da cui si evince che il mondo degli insegnanti non è per niente rinunciatario e vorrebbe cambiare le cose. Ci sarebbe da scrivere un libro». Che cosa chiedono i maestri e i professori italiani? «Principalmente meno alunni in classe, perché questo è un elemento per poter lavorare meglio e poi un maggior rispetto per il loro lavoro», sottolinea Luisa Vianello. «Ma non c’è negatività, molte critiche sì. Soltanto due o tre hanno detto di voler abbandonare il lavoro e nessuno chiede più soldi, anche se è un fatto che siamo pagati meno del resto d’Europa».

Il questionario è stato inviato prima della Buona scuola, però. Nel 2014 c’era il sondaggio online ma la legge ancora non aveva preso forma. «Il sentore che qualcosa stava cambiando però già c’era come il fatto di essere valutati, così come la formazione obbligatoria. Io ipotizzo che se lo facessi adesso forse le cose risulterebbero peggiorate. Sia per la valutazione, che per la mobilità oltre la propria provincia di residenza e la nuova figura del docente di potenziamento», dice la docente. Ma quale potrebbe essere una soluzione? Uno sportello salute con psicologi potrebbe davvero costituire un aiuto, afferma la ricercatrice. «Finora in alcune scuole lo sportello salute è previsto per gli studenti, ma sarebbe importante anche per gli insegnanti parlare con qualcuno». Prof e maestri che poi dovrebbero comunicare di più anche con i colleghi, anche se a volte, parte dei problemi nascono proprio con questi ultimi.

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.