Dice il giuslavorista Michele Tiraboschi che è chiaro l'intento di «disinnescare una miccia», visto che il referendum «potrebbe esser visto come una bocciatura del jobs act». Il governo infatti pensa a un decreto. E se, se si adottasse la proposta Damiano, sarebbe almeno un passo avanti, neanche quella è scontata

«Dobbiamo dire al governo e alla maggioranza correggere solo quello che si vuole far passare per un errore di applicazione sarebbe una toppa peggiore del buco. Bisogna dire di no a un’arroganza che sul mercato del lavoro ha distrutto diritti, relazioni, rappresentanza e contratti», scrive Giorgio Airaudo, deputato di Sinistra italiana, per una vita sindacalista della Fiom, sul prossimo numero di Left, da sabato in edicola. «Il governo Gentiloni», continua Airaudo, che su Left ci aiuta a fare il punto su tutte le proposte di modifica presentate alla Camera in tema di voucher, «prova con ogni evidenza a ridimensionare e svuotare di significato il referendum, ma non credo sia possibile cancellarlo. Si tratta di un quesito radicale e definitivo. E l’unico modo per evitare lo svolgimento della consultazione sarebbe la cancellazione della legge».

Risponde così, Airaudo, anche alle voci che vorrebbero il governo pronto a intervenire con un decreto, più rapido e capace di svuotare – se non cancellare – di forza politica la campagna dei referendari. Eppure, se il punto di caduta della vicenda voucher fosse la proposta Damiano, difficilmente si potrebbe parlare di una sconfitta. Certo, il governo – sul decreto non c’è ancora l’intesa, comunque – eviterebbe di sottoporsi a un No popolare, ma i buoni lavoro tornerebbero a una dimensione ragionevole, consentiti solo per i lavoretti domestici e per retribuire – così propone Cesare Damiano, presidente Pd della commissione lavoro – pensionati e studenti che prestano braccia e menti per la vendemmia e i lavori stagionali. E sarebbe sicuramente un merito (anche) della Cgil, che ha raccolto le firme: un merito non da poco.

Più probabile in effetti è però che il punto di caduta sia più simile a quanto proposto proprio in commissione alla Camera Patrizia Maestri, la deputata a cui è toccato il compito di cercare una sintesi parlamentare. Maestri ha proposto un testo che estenderebbe i voucher, rispetto alla proposta Damiano, anche alle imprese con un solo dipendente – che in Italia sono moltissime, oltre due milioni e mezzo. Il loro sarebbe però un voucher più consistente, di 15 euro e non di dieci, e avrebbero un tetto massimo di 5mila euro all’anno. Il lavoratore, dallo stesso committente, potrebbe ricevere fino a duemila euro. Il referendum così resterebbe – lo dicono in queste ore dalla Cgil. Ma depotenziato? E soprattutto: se cala la passione sul quesito dei voucher, cosa succede a quello già più complesso degli appalti?

Tutte domande che a sinistra ci si pone. Se la pone anche un professore come Michele Tiraboschi secondo cui si vuole evidentemente «disinnescare una miccia» visto che il referendum «potrebbe esser visto come una bocciatura del jobs act». Domande a cui si aggiunge l’incognita sulla data del voto. Sinistra Italiana e però anche l’ex minoranza dem del Movimento democratico e progressista, stanno chiedendo che il governo proceda alla convocazione. Si guarda dunque al prossimo consiglio dei ministri. Pronti a protestare se il governo non dovesse accorparlo alle amministrative.

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.