Le donne hanno riempito le piazze e bloccato le città. Spontaneamente. Ma se qualcuno ieri avesse dormito tutto il giorno e questa mattina avesse guardato le prime pagine dei giornali italiani non avrebbe saputo nulla

Siamo alieni noi di Left o lo sono tutti gli altri? Se andate in edicola adesso, fino a venerdì 10, trovate un numero della nostra rivista con l’intera copertina dedicata allo sciopero globale delle donne di ieri. #LottoMarzo lo abbiamo titolato. E ci è sembrato logico oltre che giusto: perché il fatto che milioni di donne decidano di scioperare in tutto il mondo è quantomeno un evento politicamente straordinario, tanto più perché la protesta è spontanea: in tanti angoli del mondo si è protestato e discusso senza che un’organizzazione tradizionale le aiutasse a farlo – anzi, organizzazioni come la Cgil in Italia si sono guardate bene dal farlo.

Che obiettivo aveva questo sciopero? La partecipazione in piazza, l’adesione nei luoghi di lavoro e di cura. A giudicare dalla realtà, dalle immagini e dai dati, è dunque uno sciopero riuscito. Decisamente. Le piazze d’Italia si sono riempite, da Roma a Palermo, da Bologna a Bari, da Napoli a Venezia, fino al cantiere di Chiomonte in Val Susa. E si sono colorate di fucsia e nero anche altre piazze del mondo. Piazze impressionanti come quella di Madrid, emozionanti come quella di Istanbul. E mentre da noi era notte, in America Latina una marea di donne riempiva le strade delle grandi città e dei villaggi indigeni. Così anche negli Stati Uniti. #InternationalStrike #ParoInternacional: significa sciopero internazionale, globale.

Ma se qualcuno ieri avesse dormito tutto il giorno e questa mattina avesse guardato le prime pagine dei giornali italiani per sapere cos’è successo, non avrebbe saputo nulla. L’8 marzo non era ancora finito, infatti, che i principali giornali italiani avevano già deciso di archiviarlo. Niente titoloni, niente foto in prima pagina (tranne il manifesto e l’Unità), nemmeno quelle tanto caratteristiche che fanno un po’ carrozzone, folkore. Niente. Abbiamo letto solo un po’ di “polemichetta” della vigilia: favorevoli o contrari allo sciopero delle donne? Crea troppo disagio o no? Poi, più niente. Come se nessuno avesse paralizzato una città come Roma per chiedere libero aborto e reddito di autodeterminazione, dignità, parità, vita; per rivendicare che il femminicidio è il caso estremo, ma che la violenza non è un raptus ma un sistema che discrimina, economico e politico innanzitutto.

«Se le nostre vite non valgono, allora noi scioperiamo», hanno scritto in mille lingue su mille cartelli. Tra quelli che sfilavano a Roma ce n’era uno: “Attitudine ribelle”, che vuol dire anche scrivere quello che gli altri non vogliono vedere. Ma sui media non li avete visti. Ed è allora perfetta la sequenza con la nostra prossima copertina, dedicata proprio a questo, alla politica che si edifica sulle bugie. L’abbiamo chiamata #FakePolitics – come va di moda adesso – quella pratica che costruisce realtà parallele e ci sguazza dentro. Tra “supercazzole” e “gomme da cancellare”, in pugno a media incapaci di leggere la realtà, figuriamoci di scriverla.