In Europa vivono 10 milioni di turchi o forse più. In Germania sono quasi 4 milioni, quasi uno in Francia, mezzo milione rispettivamente nelle piccole Olanda e Austria. Sono tanti e non sono immigrati di questo secolo. Il contrario: in quei Paesi sono coevi dell’immigrazione italiana, spagnola, portoghese. Tra il 1959 e il 1969 diversi Paesi firmarono degli accordi con la Turchia per importare manodopera. Proprio per queste ragioni blaterare di turchi-musulmani-non europei come fa Matteo Salvini nel tweet qui sotto è una schiocchezza antistorica.
I ministri turchi non sono benvenuti in Italia, la Turchia non è, e non sarà mai, Europa. pic.twitter.com/ppzi2rPyNr
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 13 marzo 2017
Proprio la frase di Salvini ci aiuta a leggere e capire cosa stia succedendo tra Turchia e Olanda.
Partiamo dai fatti.
La ricostruzione è rapida: il governo turco pianifica un referendum per modificare la natura parlamentare della repubblica e trasformarsi in presidenziale. L’idea di Erdogan è quella di attribuirsi nuovi poteri, eliminando la figura del Primo ministro e molte delle prerogative del Parlamento. I limiti al potere presidenziale sarebbero davvero pochi, non sarebbe, insomma, un presidenzialismo all’americana. E visto quanto capitato in Turchia dopo il tentato colpo di Stato militare, è normale che l’Europa e i governi nazionali europei si sentano preoccupati dalla deriva autoritaria presa da Erdogan.
Per promuovere il referendum, le autorità turche stanno spedendo ministri e politici a organizzare il voto degli emigranti in Europa. Proprio in occasione di un comizio previsto per lo scorso weekend a Rotterdam due, le autorità olandesi hanno impedito l’ingresso di ministri turchi nel Paese. Le versioni divergono ed è certo che la polizia olandese ha fatto in modo che il ministro degli Esteri Cavusoglu non entrasse nella sede del consolato a Rotterdam – che tra le altre cose è uno dei luoghi in cui il Pvv di Geert Wilders rischia di prendere più voti nel voto di mercoledì. I seguaci di Erdogan sono scesi in piazza in Olanda per protestare contro un comportamento che non è consono dal punto di vista delle relazioni tra Paesi, il presidente turco ha dato dei nazisti agli olandesi e questi si sono infuriati. Poi la Germania, l’Austria, la Danimarca e la Svezia hanno in qualche forma vietato comizi pro Erdogan nel loro Paese. Non la Francia. Le ragioni addotte sono i rischi per la sicurezza e, dopo che Erdogan ha usato quei toni estremi contro l’Olanda e minacciato ritorsioni, anche una reazione “europea” (le dichiarazioni sono molte, da Schäuble in giù).
La crisi e i suoi attori.
Probabilmente possiamo definirla una crisi scatenata da atteggiamenti populisti di governi al potere. Erdogan promuove un referendum e da mesi foraggia la propria opinione pubblica con discorsi contro qualche nemico, interno o esterno: i curdi, i russi (ora non più), l’Europa, i golpisti. Toni sopra le righe, minacce. In più, in una fase difficile per l’Europa, la Turchia sceglie di fare comizi destinati ad acuire le tensioni e a fornire argomenti alla destra populista e xenofoba. Il premier olandese Rutte, alle prese con una difficile campagna elettorale all’inseguimento del Pvv dei Geert Wilders, coglie la palla al balzo e vietando i comizi e alimentando l’escalation con Ankara, diventa un difensore dei valori occidentali e individua un nemico esterno – e anche un po’ interno, visto che i turchi immigrati hanno manifestato in Olanda. E contende così a Wilders lo scettro della destra nazionale e anti islamica. La crisi, potrebbe insomma favorire i liberal-conservatori alla guida del Paese e il loro giovane leader. Oppure no: perché votare Rutte se c’è l’originale anti-islamico sulla scheda? Questo lo vedremo mercoledì sera.
Il punto
Il punto, insomma, è questo: il populismo xenofobo che attraversa l’Europa vince anche se non è al potere, dettando l’agenda politica ai governi. E ciascun populismo, compreso quello autoritario di Erdogan, si alimenta di toni estremi e nell’individuare un nemico: succede così che il leader leghista gongoli nel potersi schierare contro Ankara e gli islamisti, Rutte approfitta della crisi e così via. È un paradosso perché parallelamente, la Lega, il Front National, il Pvv intrattengono rapporto con la Russia di Putin, che a sua volta converge su molte cose con Erdogan.
Non è il solo paradosso perché, i partiti che gridano all’invasione islamica sanno bene che il loro alleato turco de facto è quello che in questo momento ha le chiavi dell’ingresso di centinaia di siriani nella Ue. Per non farli partire riceve soldi da Bruxelles grazie a un accordo scellerato che viola le convenzioni internazionali – soldi in cambio di frontiere chiuse. I partiti della destra xenofoba sono contrari anche a quell’accordo, che con i turchi manco ci si dovrebbe parlare perché…sono turchi. Certo, se l’accordo saltasse arriverebbero più rifugiati siriani e i partiti populisti avrebbero un argomento in più sul quale strepitare.
Contro l’immigrazione e contro i patti per tenere fuori i rifugiati siriani, contro Erdogan, ma amici di Putin, difensori dei valori occidentali che violano le regole della diplomazia internazionale come regimi autoritari qualsiasi. Vi sembra illogico?
E veniamo all’ultimo punto: non cercare coerenza e un filo logico nei comportamenti dei leader populisti. Si può essere molte cose allo stesso tempo, basta urlare forte, indicare dei nemici e dei pericoli contro cui scagliarsi e non offrire ricette per risolverli che non siano slogan buoni per raggranellare consensi. Che si tratti di ruspe, muri di confine, dispute contro un Paese straniero, il risultato non cambia.