Sì, lo so, che mettere in un titolo "l'esempio dell'Europa" di questi tempi provoca gastriti e rischi di sincopi sgomente ma la sanzione comminata ieri a Janusz Korwin-Mikke (eurodeputato, ahinoi, famoso per le provocazioni razziste che l'hanno reso "macchietta" buona per il percolato degli intolleranti) da parte del Parlamento Europeo ci riporta a un senso della misura (e delle regole, anche verbali) che da noi appare ancora piuttosto lontano. Nel corso di un dibattito sulla disuguaglianza salariale qualche settimana fa Korwin-Mikke aveva dichiarato testualmente: «Giusto che le donne guadagnino meno, perché sono più deboli, più piccole e meno intelligenti» citando come esempio probante della sua squinternata tesi il fatto che «tra i primi cento giocatori di scacchi non c’è nemmeno una donna.» Provate a immaginare la scena qui: da una parte ci sarebbe stato il darsi di gomito divertito sottovoce di qualcuno che avrebbe sminuito il tutto parlando di una provocazione, dall'altra ci sarebbe stato il coro d'indignazione e nel mezzo quelli del "diritto di opinione". Un gran chiasso in televisione, pance solleticate e qualche nota di censura. Lì invece hanno deciso che le parole di Korwin-Mikke meritano una punizione esemplare: trenta giorni senza diaria (solo perché è il massimo previsto dal regolamento), dieci giorni di sospensione dai lavori parlamentari, e un anno senza poter rappresentare il Parlamento europeo in qualsiasi delegazione, conferenza o foro interistituzionale. Perché le parole pesano, costano e sono (soprattutto in politica) uno strumento di lavoro di cui avere cura. E "la libertà di espressione"? Ha risposto il Presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani: «il comportamento dei deputati è improntato al rispetto reciproco, poggia sui valori e i principi definiti nei trattati, e in particolare nalla Carta dei diritti fondamentali, e salvaguarda la dignità del Parlamento (….) i deputati si astengono dall’utilizzare o dal tenere un comportamento diffamatorio, razzista o xenofobo durante le discussioni parlamentari e dall’esporre striscioni.» Le regole. Chiare. Precise. Non interpretabili. Appunto. Buon mercoledì.

Sì, lo so, che mettere in un titolo “l’esempio dell’Europa” di questi tempi provoca gastriti e rischi di sincopi sgomente ma la sanzione comminata ieri a Janusz Korwin-Mikke (eurodeputato, ahinoi, famoso per le provocazioni razziste che l’hanno reso “macchietta” buona per il percolato degli intolleranti) da parte del Parlamento Europeo ci riporta a un senso della misura (e delle regole, anche verbali) che da noi appare ancora piuttosto lontano.

Nel corso di un dibattito sulla disuguaglianza salariale qualche settimana fa Korwin-Mikke aveva dichiarato testualmente: «Giusto che le donne guadagnino meno, perché sono più deboli, più piccole e meno intelligenti» citando come esempio probante della sua squinternata tesi il fatto che «tra i primi cento giocatori di scacchi non c’è nemmeno una donna.»

Provate a immaginare la scena qui: da una parte ci sarebbe stato il darsi di gomito divertito sottovoce di qualcuno che avrebbe sminuito il tutto parlando di una provocazione, dall’altra ci sarebbe stato il coro d’indignazione e nel mezzo quelli del “diritto di opinione”. Un gran chiasso in televisione, pance solleticate e qualche nota di censura.

Lì invece hanno deciso che le parole di Korwin-Mikke meritano una punizione esemplare: trenta giorni senza diaria (solo perché è il massimo previsto dal regolamento), dieci giorni di sospensione dai lavori parlamentari, e un anno senza poter rappresentare il Parlamento europeo in qualsiasi delegazione, conferenza o foro interistituzionale. Perché le parole pesano, costano e sono (soprattutto in politica) uno strumento di lavoro di cui avere cura.

E “la libertà di espressione”? Ha risposto il Presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani: «il comportamento dei deputati è improntato al rispetto reciproco, poggia sui valori e i principi definiti nei trattati, e in particolare nalla Carta dei diritti fondamentali, e salvaguarda la dignità del Parlamento (….) i deputati si astengono dall’utilizzare o dal tenere un comportamento diffamatorio, razzista o xenofobo durante le discussioni parlamentari e dall’esporre striscioni.»

Le regole. Chiare. Precise. Non interpretabili. Appunto.

Buon mercoledì.