L'Europa chiede alla Spagna di liberalizzare i porti, superando il potere delle società dei portuali. Il premier spagnolo obbedisce alle sanzioni, ma il parlamento ha bocciato il suo decreto

Galeotta fu la deregulation del lavoro portuale. Con 142 voti a favore, 175 contro e 33 astenuti. Il governo di Mariano Rajoy è “andato sotto” in Parlamento nel voto sul decreto di liberalizzazione dei los estibadores, i portuali, che era stato approvato dal consiglio dei ministri il 24 febbraio scorso.

Nemmeno i 32 deputati di Ciudadanos (che si sono astenuti) hanno sostenuto il presidente Rajoy, che ha potuto invece contare solo sul partito nazionalista basco (Pnv) e su, 33esimo voto, il deputato è Inigo Errejon di Unidos Podemos, che ha però chiarito, ovviamente, di essersi sbagliato a premere il pulsante: «Un voto storico», ha invece detto, «una buona notizia: sono stati difesi i diritti dei lavoratori e il governo è rimasto solo».

La batosta è doppia, e vale per Rajoy (in Spagna che il governo non riuscisse a raggiungere nemmeno la maggioranza semplice, necessaria per convalidare un decreto legge, non succedeva dal 1979)  come per l’Europa, che chiedeva alla Spagna di rientrare rispetto a un’infrazione sulla libera concorrenza: i porti spagnoli, ad oggi, sono controllati dalla Sociedad Anónima de Gestión de Estibadores Portuarios (Sagep), una società analoga alle Compagnie dei lavoratori portuali italiane. Una sorta di società dei portuali a cui devono fare riferimento le aziende che intendono operare negli scali e assumere personale. Un obbligo che viola ogni principio del liberismo e viola anche il «diritto di stabilimento» sancito dall’articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Ma il decreto non è passato. A poco sono servite le rassicurazioni del ministro allo Sviluppo economico Íñigo de la Serna Hernáiz – «Il mantenimento dei posti di lavoro è assicurato» – e nemmeno le minacce di Bruxelles: se la Spagna non cambia, la multa aumenterà, passando da 27.500 euro al giorno (ad oggi, dalla condanna, sono 23 milioni di euro), a 134.000 euro al giorno.

Le proteste nei porti
La debacle di Rajoy arriva dopo settimane di proteste nei porti spagnoli, con diversi scioperi bianchi che hanno provocato rallentamenti nelle operazioni di carico e scarico delle merci a Barcellona, ma anche in altri scali. Secondo l’International dockworkers council (il sindacato internazionale dei lavoratori portuali) se passasse la proposta del governo sarebbero a rischio 8mila lavoratori. L’ordine arrivato dall’Unione a Madrid è invece di uniformarsi al nuovo regolamento europeo. Secondo Bruxelles la Spagna non rispetta «la libertà di costituire impresa e fare assunzioni» (così la sentenza della Corte di Giustizia europea di dicembre 2014), sancita nel regolamento europeo che cerca di liberalizzare più di 300 porti e reti di trasporto, compresi i «core network e le comprehensive network», in tutta Europa: il 96% delle merci e il 93% dei passeggeri in transito nei porti Ue.

Il decreto legge di Rajoy
Con soli 4 articoli il decreto puntava a liberalizzare il mercato dei portuali, controllati come detto dalla Sociedad Anónima de Gestión de Estibadores Portuarios (Sagep). Il governo aveva proposto di smantellare la società trentennale, aumentando nei prossimi tre anni, ogni anno, la quota di lavoratori che le aziende che lavorano nei porti possono assumere ignorando i registri di categoria: il primo anno il 75% di occupati sarebbero comunque passati per Sagep, nel secondo il 50 e il terzo il 25. Per arrivare, infine, alla revoca dell’obbligo di iscrizione nel registro dei lavoratori portuali (che conta 6.156 iscritti) e alla trasformazione della Sagep in un ufficio per il lavoro.