Non c’è nulla nel salvataggio al Senato di ieri in favore del senatore Minzolini che possa lontanamente avere un significato politico: Minzolini è stato condannato, la sentenza è passata in giudicato, la legge Severino applicata a questo caso è fin troppo chiara e il voto della Giunta per le Immunità era arrivato dopo una lunga discussione e un’approfondita analisi.
Perché salvarlo quindi? Dal punto di vista di Forza Italia viene facile rispondere: il partito di Berlusconi ha già largamente dimostrato come il disprezzo nei confronti della magistratura basti da solo come motivazione valida per impegnarsi a smentirla ogni volta che se ne presenta l’opportunità: la storia recente tra l’altro dimostra che ciò che da qui appare come un’odiosa impunità in realtà riesca a confortare e convincere i propri elettori. Sul perché forse converrebbe un approfondimento più antropologico che politico, ma tant’è.
Ma i voti dei senatori del PD piuttosto dimostrano ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, l’involuzione inarrestabile di un partito che proprio sulla legalità e sul senso di opportunità aveva sbandierato per anni la propria diversità nei confronti del centrodestra. Che il salvataggio di Minzolini rientri in uno scambio di favori che parte dalla mozione di sfiducia respinta l’altro ieri nei confronti del ministro Lotti oppure che sia l’ennesimo passo di riavvicinamento ai vecchi amori del patto del Nazareno oppure ancora che sia condiviso nel senso poco importa: Forza Italia e Democratici si ritrovano amorevolmente convergenti. Ancora una volta in disdicevoli azioni politiche. Questo è il punto. Questo è lo status quo di un partito che di centrosinistra non ha più nemmeno l’ombra. Senza troppi giri di parole. E anche l’infelice e squinternata uscita di Di Maio che riesce a sbagliare un rigore a porta vuota commentando l’orrore in fondo ha l’aspetto rassicurante di chi rispetta perfettamente le parti in commedia.
Buon venerdì.