Aveva detto che le dichiarazioni di Giorgia Meloni, favorevole ad accogliere immigrati selezionati e non musulmani, erano razziste. La leader di Fratelli d'Italia l'aveva querelato ma il Gup lo ha prosciolto. È una vittoria di tutti, quella di Andrea Maccarrone, all'epoca presidente del circolo di cultura omosessuale Mario Mieli

Forse vi ricorderete l’immagine di Giorgia Meloni imbavagliata sotto palazzo Chigi. Protestava, Meloni, contro l’Unar, l’Ufficio contro le discriminazioni razziali e sessuali del Governo, all’epoca presieduto da Marco De Giorgi. L’Unar aveva la grave colpa di aver richiamato la leader di Fratelli d’Italia a non abusare di stereotipi nelle sue crociato sull’immigrazione.

Era settembre 2015, ma l’immagine torna oggi di attualità. La notizia è minore, secondaria, ma non per noi di Left.

De Giorgi fu infatti lasciato solo dal governo che anzi, scaduto il suo mandato, tardò molto a nominare un sostituto. Qualcuno però cercò di sostenere le ragioni dell’Unar. E tra questi c’era Andrea Maccarrone, attivista contro le discriminazioni, all’epoca presidente del circolo di cultura omosessuale Mario Mieli. Che però si è beccato una querela da Meloni, accusato di diffamazione a mezzo stampa, di averle dato della razzista, prima con un comunicato più lasco poi con un secondo in cui lanciava un hashtag effettivamente più esplicito #MeloniRazzista.

Bene. Il gup di Roma ha prosciolto Maccarrone: Meloni potrà ricorrere, ma per ora siamo contenti per lui. Siamo contenti, soprattutto, per il diritto di critica, il diritto alla polemica politica, e la libertà di poter chiamare le cose con il loro nome, se non si ricorre all’insulto.

Di poter dire che certe posizioni – come quella di selezionare gli immigrati in base alla religione – sono sì razziste. E poggiano su stereotipi e banalizzazioni, tossine pericolosissime per il dibattito pubblico.

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.