Mercoledì i deputati del Movimento 5 stelle hanno esposto cartelli in aula, fatto irruzione negli uffici di presidenza, arringato la piccola folla che li attendeva nella piazza di Montecitorio aizzandola «contro i partiti». Hanno, insomma, fatto un bel po’ di rumore, beccandosi pure le critiche dei dem per averlo fatto mentre da Londra arrivavano le notizie dell’ultimo attentato e – forse – dei provvedimenti disciplinari che verrano decisi la prossima settimana. I «partiti», per i 5 stelle, però, avrete letto, sarebbero colpevoli di aver “salvato” i vitalizi degli ex parlamentari, che – dicono sempre i 5 stelle – loro avrebbero voluto abolire del tutto. Tutta colpa della delibera approvata dall’ufficio di presidenza della Camera, una delibera del Pd passata a danno di quella del Movimento. Impossibile – evidentemente – non alzare cagnara.
SIAMO ANDATI A DIRGLIELO IN FACCIA: VERGOGNA! #SiTengonoIlPrivilegio!
Quello che è avvenuto oggi è di una gravità inaudita. pic.twitter.com/RlAEg4uDfi— Movimento 5 Stelle (@Mov5Stelle) 22 marzo 2017
Le cose stanno però un po’ diversamente da come le raccontano i 5 stelle – e la vicenda è al tempo stesso più complessa ma assai meno scandalosa. Anzi: il parlamento dei cattivisimi partiti, bisognerebbe dire, sui vitalizi, negli ultimi anni, e persino prima che i 5 stelle entrassero nei palazzi, ha fatto grandi passi in avanti, passi verso una riduzione dei costi e dei privilegi. L’ultimo, quello di mercoledì, vale comunque 2,4 milioni di euro.
I “vitalizi” di cui i 5 stelle riempiono la loro comunicazione, tanto per cominciare, non esistono più. Non, almeno, per i parlamentari attualmente in carica (tantissimi, per altro, al primo mandato: oltre il 60 per cento) che – come abbiamo già avuto modo di spiegare – con la riforma approvata dal parlamento ai tempi di Monti (serviva per bilanciare almeno un po’ la riforma Fornero con l’opinione pubblica) avranno diritto a un assegno calcolato su base contributiva, seppur con coefficienti diversi da quelli delle normali pensioni. Assegno che scatterà solo al 65esimo anno d’età e solo se il parlamentare avrà svolto almeno cinque anni di mandato (o meglio quattro anni e mezzo, visto che il regolamento prevede che l’anno non completo sia arrotondato se passati almeno sei mesi). Ogni anno di mandato in più dà diritto a un anticipo sull’erogazione dell’assegno, che però non potrà arrivare comunque prima dei 60 anni.
I 5 stelle dicono che, fosse dipeso da loro, avrebbero abolito completamente anche questo nuovo istituto delle “pensioni dei deputati e dei senatori” (così si chiamano). Che si può fare, per carità (se ne può discutere): solo che non era quella di ieri la sede, non se lo vuoi fare colpendo insieme nuove e vecchie pensioni. L’ufficio di presidenza, infatti, può solo modificare il regolamento della Camera, non fare una legge, che sarebbe in quel caso necessaria e, peraltro, forse non sufficiente, comunque, per intervenire sugli assegni degli ex parlamentari. Su cui invece si è concentrato l’Ufficio di presidenza, nell’unico modo possibile.
Anche sugli assegni già in essere – quelli sì, vitalizi – infatti c’è dunque da fare un chiarimento. La Camera ieri ha di fatto rinnovato e reso più gravoso per gli ex deputati un provvedimento già attivo dal 2013, un contributo di solidarietà. Il motivo per cui si è scelta la via del contributo di solidarietà non è tanto perché i deputati vogliano “salvare” i loro amici già pensionati: è una questione costituzionale, che già si era posta, ricorderete, ancora ai tempi di Monti. Abolire un diritto acquisito non si può fare, per quanto questo diritto possa apparirci un privilegio: soprattutto non lo può fare l’ufficio di presidenza della Camera che pure gestisce l’erogazione degli assegni. Quello che si può fare sono – appunto – misure straordinarie, riduzioni e trattenute temporanee. Quello che ha fatto la Camera mercoledì, insomma, girando peraltro ulteriormente la vite. Mentre dal 2013 al 2016 il contributo è stato per tutti gli assegni sopra i 90mila euro lordi annuali del 6 per cento, ora il contributo sarà del 10 per cento dai 70mila agli 80mila euro, del 20 per cento dagli 80mila ai 90mila euro, del 30 per cento per i vitalizi dai 90mila e i 100mila euro e del 40 sui circa duecento vitalizi che superano i 100mila euro all’anno, sempre lordi.