Il Movimento Arturo, diventato virale a suon di tweet e dirette su Raitre. Da uno scherzo di Gazebo, centinaia di circoli, iniziative, campagne. Funziona perché si ride tanto. Ma il fenomeno è tale che lo si può anche prendere sul serio. Non sono forse nati così anche i 5 stelle?

Ridere fa ridere l’avanzata del Movimento Arturo, tra gag televisive e tweet sagaci lanciati ai danni dell’Alfano o del Gasparri di turno. E ridiamo un po’ allora su Left in edicola da sabato 25, ricostruendo come Arturo sia sfuggito di mano ai suoi stessi creatori, alla banda di Gazebo, diventando un movimento che è ancora una burla, con tanto di primarie burla, ma è sicuramente impegnativo da gestire (anche per non mettere in imbarazzo mamma Rai, non più di troppo, almeno).

È cresciuto il movimento Arturo ed è diventato interessante anche oltre il fenomeno tv. E noi di quello ovviamente, soprattutto, parliamo. Prendendo sul serio quelli che – tipo Civati – vedono in Arturo un appello all’unità della sinistra.

Cosa ci dice Arturo della sinistra? Su Left in edicola ne parliamo con Michele Prospero, facendo un esercizio che è un po’ forzato, tocca dirlo, ma neanche troppo. Perché tra gli arturi, per ora, c’è di tutto, sì. Quando la settimana scorsa la banda di Gazebo ha fatto il live a “Libri come”, in platea, per dire, pronto ad applaudire tanto gli sketch quanto l’avanzata del Movimento, c’era anche Luciano Nobili, renzianissimo uomo del Pd romano, un piccolo Goffredo Bettini, e già capo della campagna elettorale, non fortunatissima, di Roberto Giachetti. «Sale piene, urne piene» ha scherzato Nobili ringraziando «il gotha del Movimento Arturo»: perché alla fine è una cosa che diverte tutti stare su twitter e giocarci su, darsi di gomito, cercando di farsi bannare (che è quello che succede quando un utente ne blocca un altro su un social) da Maurizio Gasparri o da Angelino Alfano.

Ma, insomma, l’esercizio si può sempre fare.

Perché di sinistra parla il fenomeno Arturo, irriverente stimolo. «Fate da soli ma fate educati» è ad esempio l’unica regola del Movimento, nel tentativo di segnare uno scarto rispetto a una politica da troppo tempo muscolare, tanto a destra, con la Lega, quanto a sinistra. E non vi ricorda infatti, quello dei gazebini, l’appello alla gentilezza di Giuliano Pisapia? E anche il primo slogan, fatto il verso ai 5 stelle, di sinistra parla: «Do-ve-sta! Do-ve-sta!», scandiscono i tre candidati, Makkox, Salerno e Bianchi, all’unisono, mostrandosi uniti sul ritmo tipico dell’O-ne-sta grillina. «Dove sta», già, «dove sta», si intende, la sinistra? Ah, a saperlo.

Con Michele Prospero abbiamo però provato a parlarne seriamente. Prendendo Arturo, per quello che per molti è: un appello all’unità della sinistra. A una sinistra nuova, una sinistra artura. Che è più gentile, per cominciare, ma non solo. Per Prospero – vi spiegherà in edicola – deve esser soprattutto una sinistra più sinistra. Dice Prospero che «la lista unitaria dovrebbe quindi organizzarsi sul tema del lavoro e della Costituzione che sono, a questo punto, i punti deboli del Pd di Matteo Renzi, che non ha alcuna voglia di aggiustare il tiro, perché è intimamente convinto della bontà sia delle sue teorie giuslavoriste che del suo disegno costituzionale».
Mettere al centro una teoria del lavoro e una visione costituzionale alternativa a quella del jobs act e della riforma Boschi e dell’Italicum, peraltro, «aiuterebbe a spiegare perché è Renzi stesso il problema, e che non c’entra nulla l’antipatia umana del personaggio, che non è insomma una questione di gentilezza come Pisapia, ad esempio, sembra a tratti sostenere».

L’articolo sul movimento Arturo è nel numero di Left in edicola da sabato 25 marzo, con la copertina dedicata all’Europa

 

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Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.