Il successo di Minniti è stato costruito con cecchini sui tetti e blocchi alle frontiere ma anche spargendo tensione in abbondanza. Ma non è solo per quello che i cortei erano così poco partecipati. A cambiare non deve esser solo l'Europa ma anche la sinistra

La prima è sulla gestione dell’ordine pubblico. Non ci sono stati scontri, come avrete visto, e noi ne siamo contenti. Ma c’è un ma, ovviamente. Intorno a mezzogiorno, sabato, alcuni pullman sono stati fermati all’ingresso di Roma, a Tor cervara, e 160 persone sono trattenute per otto ore. Erano i violenti? Quello che sappiamo è che sui tre pullman né sulle auto c’erano spranghe, bombe o chissà cosa. C’era un coltellino, è vero, ma infilato in una forma di toma. E poi sciarpe e felpe col cappuccio. A noi colpisce comunque la frase del questore Guido Marino che ha dichiarato che le otto ore sono state spese per verificare “precedenti penali e orientamento ideologico”. L’espressione è come minimo scivolosa. E ci colpisce poi che Minniti finisca osannato stamattina da ben due quotidiani di destra, Libero e il Giornale per la sua capacità di tenere a “bada i violenti”, così scrivono entrambi. Il dubbio che ci viene, anche al netto del pregiudizio sui due quotidiani, è che il prezzo di questo successo sia molta tensione, distribuita a piene mani nei giorni precedenti, con la conseguenza – speriamo non voluta – di una frenata nella partecipazione e uno schiacciamento – a posteriori immotivato – delle ragioni di chi contesta questa Europa con le non-ragioni dei violenti.

La seconda cosa da dire è sugli esiti del vertice. Per ora, al netto di abbondante retorica europeista e una generica risposta ai “populismi euroscettici”, sostanzialmente nulli. Per vedere come e se cambierà l’Europa, d’altronde, lo stesso Paolo Gentiloni dice che si dovrà vedere i prossimi mesi: «Da qui all’autunno la discussione con Bruxelles sarà aperta e potrà produrre risultati», dice a palazzo Chigi dove ha incontrato le regioni. Gentiloni ha detto anche che «i trattati non sono intoccabili», però poi ha spiegato il Def che sta preparando il governo. Un Def – dice – che punta su infrastrutture e crescita, ma costruito ancora sui vincoli di bilancio.

Ecco. Ci sembra più credibile la posizione che abbiamo ascoltato all’evento di Diem di sabato sera – potete rivederlo sul sito di Left che era media partner – e che vi raccontiamo in edicola. Non ci dispiacerebbe che anche a palazzo Chigi arrivasse parte dello spirito che anima, ad esempio, le città ribelli di sindaci come Colau, in spagna, o De Magistris. Le piazze desolate, vuote, del week end, però, ci dicono che se quella è la direzione giusta, molto ancora bisogna lavorare, evidentemente, sulla diffusione e sulla condivisione, sul sostegno sociale a quelle idee. E sulle pratiche politiche. Che a cambiare, insomma, deve esser non solo l’Europa ma la sinistra. Troppo divisa, tra mille sigle e narcisismi, e troppo spesso lontana.

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Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.