Le parole di Luciano Violante – ex magistrato, saggio in varie commissioni per le riforme, esponente del Pd – sono piaciute molto ad Augusto Minzolini, già cronista parlamentare d’assalto (per quanto d’assalto possa esser un cronista parlamentare), direttore del Tg1 prodigo di videoeditoriali e ora senatore di Forza Italia, condannato nel novembre 2015, in via definitiva, in Cassazione, per peculato e per questo al centro di una polemica sulla sua permanenza in parlamento. La legge Severino, infatti, prevederebbe la sua decandenza, peraltro sostenuta da un parere votato nel luglio 2016 dalla giunta parlamentare competente.
Il Fatto trova sempre il gusto di aizzare al linciaggio mediatico.Quando poi chiedi a Travaglio un confronto pubblico,si dilegua.
— Augusto Minzolini (@AugustoMinzolin) 27 marzo 2017
Violante, intervenendo a Pisa, durante una lectio magistralis, ha però preso le parti di Minzolini, che – avrete letto nei giorni scorsi – è stato “salvato” dal Senato con un voto in plenaria su una mozione presentata da Forza Italia: il 16 marzo con 137 voti (e alcuni voti di parlamentari Pd, prontamenti schiaffati in prima pagina, alla gogna, dal Fatto Quotidiano, accanitissimo sulla vicenda) il Senato ha annullato il parere della Giunta per le autorizzazioni.
«La legge Severino affida alle Camere la possibilità di deliberare ed è quindi sbagliato, come è stato detto da alcuni giuristi che la scelta parlamentare è stata illegittima», sostiene dunque Violante, che ha poi generalizzato. E ha fatto un invito alla riflessione persino condivisibile: «Il codice penale», ha detto, «è diventato la Magna Charta dell’etica pubblica: si tratta di un segno di autoritarismo sul quale penso valga la pena di riflettere». Violante – come fa lo stesso Minzolini, e come fanno i dem che hanno votato in suo favore – si riferisce, quando dice che la votazione è stata legittima (i 5 stelle hanno parlato di un atto illegittimo, invece) all’articolo 66 della costituzione italiana. E, in particolare, alla parola “giudica”, usata certo non casualmente nel testo. Che è: “Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”. «Travaglio», ha detto per questo Minzolini a Radio Radicale, «ha fatto campagna per il No come l’ho fatta io, al referendum di dicembre, solo che lui evidentemente non l’ha letta».
Il capo dell’associazione nazionale dei magistrato, Piercamillo Davigo – come altri – ha invece ricordato che la condanna di Minzolini aveva anche una pena accessoria, questa non sospesa, e che quindi il problema va «al di là della legge Severino», legge che prevede la decadenza in automatico per chi condannato a pene superiori ai due anni, ma che secondo Minzolini andrebbe però interpretata alla luce dell’articolo 66 che evoca una funzione giudicante del parlamento. «Minzolini», ricorda però Davigo, «è interdetto dai pubblici uffici: è una persona interdetta dai pubblici uffici non può votare, figurarsi fare il parlamentare».
Il dibattito potrebbe andare avanti per ore – e in effetti va avanti da giorni, anche con pezzi interessanti e spunti di critica condivisibili rispetto alla legge Severino – ma tanto lo stesso Augusti Minzolini, incassando il voto a lui favorevole, aveva promesso di tagliare la testa al toro dimettendosi lui. La promessa era già alla sua seconda versione, perché già un anno fa aveva assicurato di voler lasciare: ma questa volta aveva detto che avrebbe depositato le dimissioni questo lunedì, contento di aver ottenuto dal Senato una vittoria di principio. La posa è quella di chi vuole così assicurare di non esser certo attaccato al seggio, alla poltrona.
Peccato che la sua sia una posa. E non solo perché ancora ieri, lunedì, Minzolini dice che le presenterà, le dimissioni, quando smetteranno di chiedergliele (AGGIORNAMENTO: Minzolini ha depositato nella mattinata di martedì 28 marzo la lettera di dimissioni). Dimettersi, come forse sapete, in Parlamento è cosa complicata, e non basta mica protocollate una lettera (che comunque al momento Minzolini non ha fatto). Perché le dimissioni vanno calendarizzate (e ci possono volere mesi) e poi approvate (e generalmente la prima volta le dimissioni vengono respinte). Ne sa qualcosa Giuseppe Vacciano, ex Cinque Stelle, passato al Misto, senatore, che ben quattro volte si è sentito dire di no.
Alla fine della legislatura manca appena un anno, anzi meno. Giusto o sbagliato dunque, “Minzo” in Senato, non è neanche più un tema: perché Minzolini resterà senatore fino alla fine.