Alla vigilia del concerto per il suo nuovo album, il prossimo 3 aprile all’auditorium Parco della Musica di Roma, Giovanna Marini dialoga con il presidente della Banda della Scuola di musica popolare di Testaccio con cui, insieme al Coro, ha realizzato il suo ultimo capolavoro

Giovanna Marini ha appena compiuto ottant’anni. Ma nel suo lavoro di musicista, studiosa, insegnante è infaticabile. Si è diplomata in chitarra classica ma poi ha scoperto la potenza del canto e della musica popolare e oggi, oltre ad essere compositrice e cantautrice, rappresenta una delle  figure più importanti nello studio, nella ricerca e nell’esecuzione della tradizione musicale popolare italiana. Alla vigilia del concerto di presentazione del suo nuovo album realizzato con il Coro e con la Banda della Scuola di Musica Popolare di Testaccio che si terrà il prossimo 3 aprile all’auditorium Parco della Musica di Roma, si concede a una lunga chiacchierata.

Da trentanni fai ricerca nella Scuola popolare di musica di Testaccio. Cosa aveva e cosa ha tutt’ora di speciale questa scuola?

Eravamo completamente liberi, si stimolavano gli insegnanti a fare quello che pensavano fosse giusto per la scuola, certo coordinati dal direttivo e dalla commissione didattica, ma liberi. Non avevamo alcuna tradizione da preservare o tramandare, come invece avveniva nei conservatori. La didattica rendeva liberi, era pratica. E questo se era vero per il principiante che veniva da subito messo a suonare insieme agli altri, lo era anche per noi musicisti professionisti. Io avevo e ho tutt’ora un parco di musicisti e di voci che se scrivo un brano, lo cantano, lo eseguono. La grande frustrazione per un compositore è proprio il fatto che lui scrive e non lo suona nessuno!

La scuola nasceva anche per formare un pubblico di ascoltatori, per dare alle persone una capacità critica… non solo per formare musicisti, vero?

Sì, anche perché la scuola non era per soli bambini ma anche per adulti. Abbiamo arginato dal suo inizio la massificazione, l’omogeneizzazione che la logica del profitto, anche nello spettacolo, porta irrimediabilmente con sé. Esaltavamo le diversità, eravamo l’ambiente adatto per far nascere e sviluppare le diversità. E questo attraverso la pratica, che mai veniva disgiunta dalla teoria.

In che modo la cultura, prodotta in un certo modo, può aiutare la vita delle persone? E in cosa la scuola di Testaccio ti ha aiutata a capirlo?

Anche in questo caso è fondamentale il discorso sulla libertà. E della cultura fatta e prodotta insieme agli altri, e soprattutto senza divisioni. Proprio adesso leggo che un bambino autistico non è stato fatto entrare in una scuola. Ma come sarebbe? La scuola deve includere, come avveniva e avviene a Testaccio. Noi siamo pieni di bambini con disabilità di vario tipo.

La scuola, in effetti, è piena di persone per le quali la pratica musicale fatta con gli altri rappresenta un modo per superare proprie difficoltà, o nei casi più gravi, per rendere tali difficoltà compatibili con la vita sociale…

Certamente. E poi se vogliamo parlare specificatamente del mezzo musicale bisogna dire che proprio il suono ha una particolare influenza benefica sull’organismo. Le onde sinusoidali, quelle del suono, aiutano a stare bene perché sono armoniose, son dolci e ti colpiscono il vago simpatico. Quando entrano nel tuo centro nervoso danno una sensazione piacevole… guarda la gente che ascolta una banda, la prima cosa che fa è sorridere!

L’intervista continua su Left in edicola

 

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