È bello poter tornare ad ascoltare il direttore Antonio Natali, sentirlo parlare con la consueta eleganza e profondità del Rinascimento fiorentino, nel film Raffaello il principe delle arti che da stasera al 5 aprile NexoDigital presenta in molte sale italiane. Ripercorrendo la formazione fiorentina dell’Urbinate, che fu accolto amichevolemente da Leonardo, che gli volle mostrare l’opera a cui teneva di più, quel misterioso ritratto della Gioconda da cui il giovane artista marchigiano rimase stregato. La rappresentazione dei “moti dell’animo”, la dinamica degli affetti, quella ricerca sull’invibile che rendeva vivi i volti nei quadri del maestro da Vinci, divenne il nuovo campo di studi di Raffaello che la declinò nella grazia femminile di Madonne con il bambino che non avevano nulla di sacro e di ieraticamente distante.
Questo film costruito in modo rigoroso dipanando il filo della storia, con interviste ai maggiori studiosi del Rinascimento e spettacolari immagini in 3D, ripercorre la breve e folgorante carriera di Raffaello fin dall’infanzia. Dopo la perdita della madre quando aveva solo 8 anni, a 11 anni, Raffaello perse il padre, dal quale aveva mutuato la passione per l’arte, ma anche per la scrittura. Da questo lungometraggio che mescola ricostruzione storica e inserti cinematografici emerge un ritratto a tutto tondo del pittore e dell’uomo Raffaello, che non fu genio solitario come Leonardo né tanto meno un artista introverso come Michelangelo dal quale cercò di apprendere la rappresentazione del movimento e la torsione dei corpi. Con ogni mezzo. Al punto di arrivare con la complicità di Bramante a spiare di nascosto il lavoro del Buonarroti, mentre affrescava la Cappella Sistina, come ricorda questo docufilm ricco di particolari biografici, realizzato da Sky, Musei Vaticani e Nexo Digital, in collaborazione con Magnitudo Film. L’ex enfant prodige Raffaello aveva l’umiltà di confrontarsi con i grandi maestri, cercando il modo per emularli ed arrivare a una propria visione, ad un proprio modo rappresentare i soggetti sacri e profani. Pur all’interno di una precisa poetica che puntava alla somma sprezzatura, cercando un effetto di semplicità e leggerezza, Raffaello non smise mai di sperimentare. Con la Madonna del baldacchino arrivò ad una cifra altissima e poetica ma anche – cosa insolita per lui cresciuto alla scuola del disegno tosco-emiliano – a sperimentare con il colore, regalando una «impaginazione sinfonica» a questa pala originariamente destinata alla brunelleschiana chiesa di Santo Spirito a Firenze.
Con la Madonna Sistina, poi, si aprì alla teatralizzazione dell’azione scenica, quasi anticipando il barocco (e dipingendo quei due indimenticabili angeli putti che, appoggiati alla balaustra, «guardano distratti e un po’ annoiati la scena sacra», come nota l’ex direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci). Per quanto le parti recitate risultino un po’ deboli questo film ha il grande pregio di raccontare molti aspetti della poliedrica personalità di Raffaello, compreso l’amore per l’antichità pagana e per lo studio che portò il Divin pittore non solo ad esplorare la Domus Aurea, ricavandone ispirazione per le grottesche della Loggia di Psiche nella dimora romana di Agostino Chigi, ma anche a scrivere con Baldassar Castiglione una famosa lettera a Leone X in cui l’artista si scagliava perfino contro uno dei suoi maggiori mentori, papa Giulio II, perché (come e più di gran parte dei suoi predecessori) aveva saccheggiato i marmi antichi per costruire monumenti cristiani e celebrativi del papato.
Prima di morire a soli 37 anni Raffaello riuscì anche ad essere un grande soprintendente, consapevole del valore universale dell’arte e pronto a battersi per la sua salvaguardia anche andando contro i poteri più forti.