Scambi di accuse sulla responsabilità dell'uso di armi chimiche tra Mosca, Assad e ribelli. A Bruxelles una conferenza di pace senza un piano e divisioni tra Usa ed Europa. Il punto sulle armi chimiche e l'arsenale di Assad

Sapremo mai cosa è successo a Khan Sheikhoun, nei pressi di Idlib e perché uomini, donne e bambini sono morti uccisi dal gas nervino? Probabilmente no. Non prima che la guerra combattuta e quella di propaganda saranno finite. I talking points delle parti sono identici a ogni tornata: Assad è un assassino brutale contro È un complotto dei ribelli e dei poteri forti contro Assad e Putin. Sarà bene rimettere in fila un po’ di informazioni di breve, lungo e medio periodo per fare il punto. Ricordando però che da Idlib sono arrivate e arrivano immagini terrificanti scattate anche dai fotografi delle principali agenzie giornalistiche. Che certo, possono essere di parte, ma il cui lavoro viene verificato da chi lo paga.

E ricordando anche che Isis e una parte dei ribelli pure commettono crimini di guerra e orrori. Con una differenza cruciale: quello di Assad è un governo nazionale che agisce in teoria dentro le regole internazionali di guerra e rispetta i trattati. Non è così per i gruppi salafiti, che dell’ordine internazionale se ne infischiano. La differenza è importante: se è tutto valido, gli omicidi mirati di nemici, la tortura sui qaedisti, le extraordinary renditions degli americani sono valide anche loro. E non lo sono.

Le versioni dell’accaduto

Un certezza la abbiamo: a Idlib le armi chimiche c’erano. La versione russa è infatti che le bombe di Assad siano cadute su un deposito di armi chimiche in mano ai ribelli. Versione che giunge dopo le smentite di Assad e ore in cui si è parlato di immagini false. Insomma, siamo alle solite e la campagna di propaganda accompagna quella militare come nemmeno nei peggiori anni di George W. Bush avevamo visto.

«Il territorio colpito ospitava un impianto di stoccaggio e laboratori per la produzione di proiettili riempiti di agenti tossici», ha sostenuto il generale russo Konashenkov, portavoce del Ministero della Difesa. Questo significa che, a differenza di quanto sostenuto in un primo momento, aerei di Mosca hanno partecipato al raid.  Nel 2013 Mosca aveva parlato dell’attacco al Sarin come di un tentativo di far precipitare la situazione e far intervenire gli americani.

Il comandante ribelle Hasan Ali Haj ha invece detto a Reuters che la tesi russa è «una menzogna», spiegando che i ribelli non hanno gli strumenti necessari per costruire armi chimiche. «Tutti hanno visto l’aereo che sparava gas.

L’altra novità è la condanna di Trump, che chiama l’attacco “ignobile” e, poi, attribuisce la colpa dell’attacco a Obama, che dopo aver tracciato linee rosse non agì. Agirete? È stato chiesto a Sean Spicer, portavoce di Trump, «No, ma abbiamo una posizione diversa sulla Siria», ha risposto. Quale questa sia è difficile da capire. Attaccare Obama dopo un fatto tanto tragico riporta la posizione americana a mera bassa cucina di politica interna. Peccato.

La conferenza sulla Siria, oggi a Bruxelles

La conferenza di Bruxelles

Oggi e domani nella capitale belga si riuniscono 70 Paesi con interessi diversi e senza u piano chiaro. La strage chimica di Idlib non fa che rendere più complicata l’individuazione di qualcosa che somigli a una transizione. Gli Usa e la Russia sembrano infischiarsene del destino di Assad, che pure condannano (i primi) e voler mantenere Assad al potere (i secondi), a prescindere da cosa questo significherebbe. La posizione dell’Europa è più sfumata, con Londra e Parigi molto duri contro il regime e un comunicato dei 27 che parla di “transizione politica” perché sono tutti i siriani a dover decidere.

L’inviato speciale Onu ha parlato con regime e opposizione in questi giorni e non vede all’orizzonte nessun accordo di pace, semmai qualche cessate il fuoco, corridoi, pause. L’alto rappresentante europeo Mogherini e lo stesso de Mistura incontreranno anche gruppi della società civile siriana, la cui partecipazione a qualsiasi accordo e ricostruzione e cruciale. In Libia, ma anche in Iraq (situazione molto diversa) si è spesso teso a coinvolgere solo chi spara nei processi di accordo nazionale. Questo significa attribuire troppo peso a chi ha fatto del male ed è armato ed escludere chi nel frattempo ha lavorato per fare informazione, aiutare, distribuire cibo, aiuti e così via. L’errore si vede solo dopo: questi gruppi, come i poteri locali, possono essere un pilone determinante per la ricostruzione, per il futuro del Paese. Oggi il capo dei Caschi Bianchi, Rahed al Saleh scrive un articolo su The Guardian nel quale sostiene che Assad non va incluso in nessuna transizione. È una posizione perdente: Assad sarà in qualche modo parte di qualsiasi transizione. Ma il tono dell’articolo di Saleh, difficilmente ce lo fa immaginare come un feroce jihadista, come spesso viene dipinto lui e il suo gruppo dai sostenitori (anche italiani) di Assad.

Difficilmente a Bruxelles vedremo risultati: la Turchia guarda in cagnesco l’Europa per la tensione con Germania e Olanda sui comizi per il referendum che cambia la costituzione in favore di Erdogan, l’Iran e gli Stati Uniti sono ai ferri corti e l’America di Trump sembra non avere a cuore il ritorno della pace in Medio Oriente – quella di Obama ha invece sbagliato ogni mossa per riportarcela.

Le armi chimiche

«Ricordiamo visioni terribili in ospedale, i pazienti in cura per il gas che, soffocando, tossivano i loro polmoni bruciati in grumi». È una traduzione fatta male di un passaggio di “Niente di nuovo sul fronte occidentale” Di Erich Maria Remarque e descrive l’orrore delle vittime di attacchi da gas nella Prima guerra mondiale. Molti i morti, ancora di più coloro che riportarono danni permanenti alle vie respiratorie negli anni a venire. In teoria l’uso dei gas era proibito già prima di allora dalla convenzione dell’Aja del 1899. Nel 1925, memori degli orrori della Grande guerra, la convenzione di Ginevra le bandisce, Hitler non le userà nonostante le avesse. E nel 1993 Stati Uniti e Unione Sovietica si accordano per smantellare gli arsenali che nel frattempo avevano accumulato. Restano alcuni regimi che ne fanno uso e le posseggono. Uno è Saddam Hussein, che le usa contro i curdi e l’Iran. Un’altra è Assad, che prima dell’attacco dell’agosto 2013 (di cui ha accusato i ribelli) non aveva mai ammesso di possedere un arsenale chimico.

Nel 2013 il regime lanciò un attacco contro Ghouta fuori Damasco e nonostante l’ultimatum lanciato da Obama, la linea rossa non valicabile (quella dell’uso di armi chimiche, ad esempio), gli Stati Uniti non si mossero. L’inazione di Obama allora, che smentisce molte delle teorie che vogliono negli Usa la mano dietro la guerra civile siriana, è forse una delle cause del disastro a cui assistiamo. Obama, all’epoca, accettò l’idea di uno scambio: resto fermo, Assad smantella il suo arsenale. Già, ma chi avrebbe fatto le verifiche del caso? Il processo di trasferimento e di verifica dell’arsenale da parte degli ispettori Onu non è filato molto liscio e questi sono i risultati.

In diverse occasioni, anche dopo l’accordo sulle armi chimiche con Assad, fotografi Reuters hanno visto feriti con sintomi da attacco da gas contenenti cloro e recipienti metallici gialli di forma identica a quelli prodotti da una impresa cinese che costruisce armi. Il cloro non è una sostanza proibita dalle convenzioni, ma può essere usato come arma chimica. Ma è pur vero che i sintomi dell’attacco di Khan Sheikhoun sembrano essere da Sarin, molto più pericoloso e terribile e che nell’aria, dicono i testimoni, non ci fosse puzza di cloro. Il Sarin colpisce il sistema nervoso e attraversa anche l’epidermide, rende difficile la respirazione e provoca la perdite del controllo delle funzioni corporee. Una cosa importante: una maschera anti gas e una tuta isolante costano poco e i militari in genere ne hanno una se coinvolti in guerre dove gli agenti chimici si utilizzano. A pagare il prezzo più caro sono i civili. In questo caso molti bambini, le cui foto, non dovremmo dimenticare mai.

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